martedì 6 agosto 2024

Terza tappa: rotolando verso Triacastela

Stamattina mi sono alzata presto per due motivi: anzitutto dovevo arrivare a O' Cebreiro a prendermi l'alba e poi perché le mucche di zio Peppeddu stavano passeggiando sotto la mia finestra dando vita ad una nuova melodia da inserire negli annali. Esco da sola da questo albergue sperduto ma dopo poche centinaia di metri vengo raggiunta da Borca, un ragazzo madrileno: non so se il suo nome si scriva così, so solo che io l'ho subito chiamato Borchia e così rimarrà nei secoli dei secoli. Si sale ma sono gli ultimi due km e la pendenza non è eccessiva. Si arriva così al confine che separa la Castiglia dalla Galizia, mi sto avvicinando a Santiago. Le prime luci dell'alba mi sorprendono per strada: è una striscia rossa appena accennata. O' Cebreiro mi accoglie così, mi godo tutto di questo posto, con lentezza, quando ancora non c'è rumore. Ho aspettato questo momento, mi siedo, non ho fretta costeggio la chiesa e arrivo al cimitero. Mia madre da piccola mi diceva che non dovevo aver paura dei cimiteri perché "lì abitano le persone tanto stanche che vogliono dormire per sempre", ecco perché non ne ho mai avuto paura. È in questo cimitero che prendo un bastone, è quello che mi porterò dietro fino a Santiago. Riprendo Chiara e Pino, hanno dormito qua, facciamo una colazione leggera...Vabbè ma cos'è la leggerezza poi? E partiamo per venire immediatamente raggiunti da Oscar. Questo ragazzo fa tutto il cammino...correndo. Si, correndo, intendo di corsa. Io vorrei quello che prende lui, tutti i giorni, prima, dopo e durante i pasti. Pino si adopera per rendere fruibile un ramo troppo verde: nella discesa per Triacastela sarà fondamentale avere un bastone. Il sole arriva tardi da queste parti e comincia a scaldare dopo qualche ora, solo allora puoi togliere il giubbotto. In compenso quando inizia a scaldare ti sembra di essere dentro un forno anagama, dettagli. Durante il percorso Pino si diletta a raccogliere funghi, annusarli, dire se sono buoni o velenosi, e di come le lumache siano ghiotte di funghi. Io non distinguo un porcino da una amanita falloide. Il percorso oggi è molto bello, la salita peggiore è alle spalle, io sono leggera dopo l'alba di O' Cebreiro. Attraverso paesini sconosciuti, tipo Liñares con un gatto splendido. C'è qualche lieve salita ma a me parte il porco anche solo a vederle. A Piedrafita c'è una bellissima chiesa abbandonata, e mentre io cerco l'angolazione giusta, Pino illustra la bellezza dell'architrave. Raga, ma cos'è un'architrave? Oh toh! Dei cavalli! Ehy caballeros, me dai un passaggio? Un passajo? Un passajito? No, passano dritti, forse non si traduce passajo, vero? 
Salgo ancora un pochino e sono a 1.335 metri, Alto do Poio
urge un pit stop...forse un po' troppo ma vabbè! E da qua in poi sarà tutto discesa. Che non si pensi che in discesa basta rotolare perché no, non funziona così. Dai 1.335 metri di Alto di Poio devo arrivare ai 665 metri di Triacastela. Non è una discesa, è un dirupo, e le foto non renderanno mai l'idea di cosa significa scendere e avere la sensazione di precipitare. Qualche ginocchio comincia a scricchiolare, ho con me il tape muscolare, sapevo sarebbe servito. Per fortuna non a me, urge un pit stop per Pino che con il tape fucsia sta divinamente! Qualche passo e ancora Tape a un ragazzotto che ieri ha dormito nel mio albergue. Distribuisco tape come fossero caramelle gommose. Continuiamo a scendere, voglio una delle 7 sfere di Dragon Ball, adagiarmi dentro e rotolare fino a Triacastela. Ma non si può. C'è qualcosa che mi disturba...allargo le narici...sniff...sniffff...ah vabbè ma è cacca! La discesa per Triacastela è tempestata di escrementi di mucca, e loro, paciorotte, se ne fottano di noi pellegrini che facciamo le gincane fra le loro torte al cioccomerda. Vado alla ricerca di un castagno secolare alle porte di Triacastela, penso sia questo, ma no, non è questo, ops! Eccolo, è questo, wow! E invece no, non era quello ma...arriva lui, imponente e fiero ad indicare che Triacastela è qua. E arrivo hola, ho una reserva, si, proprio io, dove? Là? Proprio là? Ma porco due, perché le scale? Una robina a piano terra, no eh? Relax di mezz'ora e sono come nuova: la discesa non mi ha distrutto come pensavo, esco a fare un giro, incontro ancora Chiara e Pino, si beve insieme, andiamo ad immergere i piedi nel fiume ma quanto caxxo è gelata??? Non si resiste, conto fino a 10, non riesco, riconto e riesco. La sensazione è sublime. Mi butto sul prato dell'albergue di Chiara e Pino, improvvisamente mi trovo al centro di un gruppetto di persone, forse è il caso di levare le tende, non prima di aver conosciuto il Vichingo, un esserino carino e coccoloso che al contrario delle apparenze è dolcissimo e simpatico. Torno a casa, noto che i bambini si stanno preparando per una grande guerra, sorrido. Questa tappa è stata meravigliosa, la migliore finora. Ho un peso in più sullo zaino: un pezzo di legno che ho "comprato" dai bambini lungo la strada: erano bellissimi, come tutti i bambini che giocano a fare i grandi. È un peso leggero. Ho incontrato tante persone splendide, abbiamo scambiato sorrisi, passi, Tape, Voltaren e numeri di telefono. Ho camminato a fianco a due persone speciali, ed è questo il bello del cammino: le persone con le quali condividi pezzi di strada e di cuore.

3 commenti:

  1. Mi viene il fiatone solo a leggerti. Ma leggerti è bellissimo. Ciao ninin!

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  2. La meraviglia. Punto. Non c'è altro da aggiungere. Ho percepito l'acqua fresca sui piedi.
    Buen camino

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