mercoledì 12 marzo 2014

Elogio sentimentale della lentezza.

Apprezza la lentezza, viviti lo stallo del nostro fiume in piena, e cerca di perdere questa tua voglia di scappare: non hai niente da aver paura, sono sempre io, senza pelle e disarmata. E abbracciami forte, vivimi in quel nostro stringerci, che ogni volta sa di lacrime effimere che si trasformano in piacere che esplode senza pudore. E non sputarmi in faccia le tue verità che sanno di ergastolo sentenziale, il tuo poco amore da dare, le tue scarne parole da dire: so già tutto, perché conosco ogni piega del tuo dolore e del tuo piacere. Abbiamo attraversato deserti e orizzonti che ci sembravano infiniti, abbiamo vissuto la fatica e anche la gioia di arrivare alla meta...e tutte queste sterpaglie che incontriamo sono solo rami da raccogliere e dei quali farne un fuoco in una qualsiasi notte di marzo. E non vedere tutto pieno di ostacoli: sono rami, sono qualcosa che puoi schivare, sono carichi pesanti da prendere in braccio e cullare. E vaffanculo questo tuo eterno voler stare per forza bene, questo tuo ostinato voler bere per forza solo il nettare dolce e frizzante della vita: l'esistenza non è solo spumante da sorseggiare in allegria, è anche fiele e veleno, e devi ingoiarlo tutto affinché si possa assaporare anche la fragilità del destino. E lo so che non tolleri le mie lacrime, perché non ti appartengono e ti innervosiscono, quasi ti sentissi in dovere di dovermi consolare. Invece dovresti tacere e nutrirti anche di quei miei momenti, dove il destino mi esplode in faccia tutta la sua caducità, ed io mi sento friabile come un pezzo di tufo scagliato sul cemento armato. Prendi tutto di me, il mio bene e il mio male. Io da te prendo ciò che riesci a darmi: il paradiso di un abbraccio in aeroporto, l'inferno di un marciapiede vuoto visto da un treno che parte. Ma non metto in pratica il mio diploma da ragioniera, non misuro i sentimenti perché in amore ciascuno mette sul piatto ciò che ha da dare, e da quel vassoio si deve mangiare in due, senza badare a chi appartiene quel cibo: quando è poggiato su quel piatto quel cibo è di entrambi e ci si deve sfamare. Prendo il tuo elastico, questo filo che ogni volta tiri fino a spezzarmi l'anima, ti allontani e mi spingi nel collo di una bottiglia rotta dalla quale non riesco a uscirne. E poi torni, lasci andare quell'elastico, ne hai bisogno, e torni vicino quasi a schiantarti sul mio corpo, fino a unirti a me in un'ora che è stasi ed estasi nello stesso lunghissimo minuto. E allora fermati un attimo in più su questo letto, e togliti quei vestiti di dosso, ché la bellezza è nuda e spoglia, non ha bisogno di fondotinta e mascara. Fermati e goditi la lentezza di una notte qualsiasi, avrai poi tempo di soffocare la lontananza, nascondendo tutta la polvere sotto il tuo tappetto buono, che sa di profumo e sudore. Ma godi di questi attimi che il destino ti sta regalando, perché sono il tuo più bel regalo, sono quella che non avresti mai incontrato e sono quella che non vorresti mai perdere. E ogni volta te ne vai tenendo sotto braccio le mie labbra e il mio sesso, la mia amicizia e la mia complicità, e a me rimane la sensazione superba di essere viva, del tuo odore che non va via con la doccia e col bagno schiuma di Tesori d'Oriente, rimani sotto cute, come delle schegge di bellezza che quando le sfioro mi fanno sentire Donna. E mi piace non chiederti nulla, mi piace lasciare al destino la sorpresa di averti e di viverti, di concedermi scampoli di tempo dove mi specchio nel tuo sorriso disarmante. Vivi tutto con lentezza tesoro, fai scivolare il tempo come una goccia di sapone su un vetro, che si incolla e lascia dietro se la schiuma di un sentiero distorto ma indelebile. E non parlare, devi tacere e farmi tacere: le parole non servono quando puoi sigillare tutto col nodo scorsoio di un abbraccio, che ha bisogno di silenzio e pelle, senza frastuono. E non ti porterà a nulla buttare i tuoi pensieri al domani, a quella tua ostinata insoddisfazione del presente e sbirciare sempre a quello che c'è oltre. Perché oltre c'è la vita, e va vissuta con la flemma del ragno, trama dopo trama, senza essere precipitosi, perché quella tela si sbriciola se ci passi sopra col tuo carro armato impulsivo. E guardala in faccia questa vita: è l'unica bellezza che rimane, perché sa sorprenderti ogni giorno, anche con uno schiaffo che ti squarcia, ma è la vita e bisogna renderla straordinaria...che importa se tutto dura come un lancio di coriandoli? Fermati a godere di quella pioggia colorata che ti precipita sul viso, seguine la traiettoria di quella carta variopinta che ondeggia in una danza sinuosa e disarticolata, chiudi gli occhi e pesca dalla tasca un'altra manciata di coriandoli: hai sempre un altro lancio da fare, sarà più bello perché non sarà l'ultimo. E mi piace vederti arrivare, col tuo autunno claudicante dentro, che ti ostini a voler mascherare di primavera, poggiare le tue labbra sulla mia vita, appendere la tua biancheria al vento di questa stanza, buttare le parole e le risate nel ripostiglio buono del risveglio. Poi guardare i giorni e i minuti scivolare via dalla clessidra dell'esistenza che inesorabilmente ti porta via, in una distanza che sa di sale e telefonate, di rancido e “Ti amo” su whatsapp, di bile e videochiamate...e tutto si spegne in una lontananza palpabile, che mortifica il desiderio di appartenenza, divora e svilisce la condivisione di una reale quotidianità. Perciò prenditi la giusta lentezza la prossima volta che tornerai da me, sistema bene nell'armadio quel foulard che ti strangola, non metterlo già in valigia perché sai che dovrai ripartire, abbracciami piano, come se avessimo tutta l'esistenza ancora da vivere, senza fretta baciami e facciamo l'amore, godi della lentezza di una giornata spesa sotto le lenzuola o di una passeggiata fra le bancarelle di un mercato anonimo, di una colazione bruciata o di un panorama da abbracciare con un grandangolo. L'amore è una pianta che cresce piano, deve avere il suo tempo per attecchire, dai il tempo alle radici di essere forti, coltivalo tutti i giorni senza avere la fretta di coglierne i fiori, perché quelli verranno dopo che avremo perso tutte le foglie e scopriremo di non voler perderci mai. Goditi la lentezza di una giornata al mare, perché domani non ci sarò più, e non potrai più darmi quell'abbraccio che hai negato. Perché domani sarò io ad andare via e non avrò più lacrime mentre chiudo la porta dietro te e torno a raggomitolarmi nel letto come un gatto. Ti lascerò l'illusione che sono forte e che non voglio più viverti, con quel mio sorriso da paralisi sulle labbra. Chiuderò la porta a chiave, lentamente, con la consapevolezza che in quel lunghissimo minuto avrò perduto tutta la mia bellezza, perché come sempre, te la darò e lascerò che tu la porti via, per farti compagnia mentre vivi la tua vita di straordinaria semplicità. E ti sembrerà tutto molto crudo e violento, invece sarà solo l'ultimo, disperato e ostinato gesto d'amore, perché nel perderti mi regalerò un vuoto che non vorrò più riempire, che non lascerà spazio per nient'altro. A volte perdersi vuol dire regalarsi la certezza di appartenersi per sempre. E il mio unico sorriso sarà quello di averti liberato dalla morsa di questo mio ostinato amore. Certi amori vanno vissuti con la lentezza dei sogni, e solo lì ci potremo ritrovare. Con lentezza. Perché io non ho fretta di amare e di vivere. La lentezza è saper bere un calice di destino a piccoli sorsi, affinché possa non finire mai.