sabato 12 settembre 2020

Lo strappo

Stamane Alghero mi ha salutato prendendo spunto dal mio umore. Pioveva ed io dovevo chiudere la valigia. Avrei potuto lasciare tutto in quell'albergo ché tanto ciò che mi serve non può essere contenuto dentro un trolley. Ho preso la strada litoranea e sono arrivata a Castelsardo, che appare così, imponente e friabile. Ho cercato di smaltire qualche grammo in quelle salite fino al castello, conservando l'illusione di tornare in Piemonte con dei glutei marmorei. Poi mi sono persa nei vicoli, dove le donne intrecciano cestini: quei disegni e geometrie che si intersecano, un po' come tirare i fili del destino e cercare di mettere in ordine l'esistenza con un altro giro di ruota.  La malinconia però era entrata dentro le mie tasche e l'unica cosa che potevo fare era andare a fare l'ultimo bagno. E in quell'acqua dove tante volte mi sono specchiata, mi vedevo scomparire: in fondo una parte di me resta su quest'isola. Non è semplice spiegare cosa si prova nel partire: è un pezzo di carne che si strappa e rimane su questa terra. E vado via sapendo che sarò incompleta finché non ritorno a prendemela questa parte di me. Allo stesso tempo parto sapendo che tornerò alla mia Vita, al mio lavoro, la mia casa in Piemonte. Quella regione che per quanto fredda e nebbiosa mi ha accolto e mi permette un'esistenza dignitosa, e anche quella è casa mia. Una casa diversa dalla Sardegna, dove cerco di metterci dentro tutta la mia isola: i campanacci presi dall'azienda di mio padre, la bandiera dei 4 mori alla parete, i legnetti raccolti dalla spiaggia, il mirto sempre in fresco da offrire agli amici. Ed è così che mi avvicino al porto, c'è Superman ad accogliermi, e ho davvero bisogno di un supereroe per riuscire a salire sul traghetto senza piangere.Perché ogni volta è uno strappo sulla carne viva, è il profumo dei cespugli, i cui nomi ho imparato da mio nonno "custa este sa chessa, custu su mudejiu, su lidone, sa multa...", è il suono della lingua sarda che non sentirò per molto tempo, il mio nome urlato dalla finestra di casa, ma soprattutto è il distacco dagli occhi chiari di mia madre che ho lasciato con la speranza di poterli rivedere. E se rimanessi qua non l'amerei così tanto, come adesso che sto per lasciarla. 

venerdì 11 settembre 2020

Le ricche stuoie e i tramonti

Da quest'anno la spiaggia de La Pelosa di Stintino è a numero chiuso, si paga via web un biglietto fino al raggiungimento di una certa soglia, mentre da qualche anno è obbligatorio l'uso della stuoia sotto l'asciugamano per evitare di portare via la sabbia. Per me sono scelte giuste: conosco questa spiaggia dai tempi dell'università, quando noi studenti andavamo alla Pelosa fra una sessione e l'altra, non c'erano turisti, i parcheggi erano gratuiti e noi poveri disgraziati potevamo accedere ad un paradiso per ricchi. Col tempo è diventata talmente rinomata che negli ultimi anni ho fatto fatica a riconoscerla, tanta era la gente e gli ombrelloni disseminati sul litorale: una calca che neanche all'Ikea di Corsico la domenica mattina. Ho prenotato circa un mese fa, e stamane a grandi falcate mi sono diretta verso Stintino. Le mie grandi falcate hanno dovuto fare i conti col traffico. No, non c'era traffico ma ovviamente quando vorresti arrivare il prima possibile a destinazione per sfruttare il sole tanto atteso, trovi sempre lo zio col Pandino che sta andando a mietere il fieno. A 30 all'ora. E una volta che superi il nonnino, vuoi non mettere un camion carico di piombo che va a 20 km/h? Perché farne a meno? Ma poi si arriva, e arrivano i colori e il sole, così all'improvviso che rimani senza fiato. All'Info point danno dei simpatici braccialetti azzurri, di quelli che non si staccano neanche con la cesoia. Mi rendo conto che intorno a me, in spiaggia, quasi nessuno possiede questo meraviglioso braccialetto. Sono un'anima romantica, penso che non lo abbiano messo per non rovinare l'abbronzatura. All'arrivo degli agenti della compagnia barracellare apprendo che nei 20 m² che mi circondano nessuno ha pagato il biglietto d'ingresso, e molti non avevano la stuoia. Scene esilaranti: un signore ha detto "non capire, io spagnolo" diceva, poi ha concluso che sarebbe andato via appena la moglie usciva dall'acqua. Quando questa è emersa, con calma, improvvisamente il signore parlava perfettamente l'italiano, ha riferito il tutto alla signora e poi hanno dato avvio ad una serie di improperi "ma come si fa a mettere il biglietto? In una spiaggia così piccola poi! Vergogna!...vabbè, adesso mi asciugo poi vediamo". I due passano l'ora successiva a prendere il sole e a lamentarsi del biglietto d'ingresso, che comunque non pagano. Gli altri hanno fatto lo stesso, compresa una coppia che non aveva neanche la stuoia e che sono stati invitati ad andare sugli scogli: le loro lamentele si sentivano anche a largo "perché devo usare la stuoia? Io mi faccio il bagno e non mi porto via la sabbia con l'asciugamano, perché dovrei usarla? Io non la userò mai!". Mentre lo dicevano io non riuscivo a decifrare il tatuaggio della signora perché aveva una coltre di sabbia sulla schiena pari a quella di una jeep nella Parigi - Dakar. L'esosa cifra del biglietto d'ingresso è di TRE EURO E CINQUANTA CENTESIMI A TESTA. Il prezzo di una stuoia è di circa 4/5 euro (da Tiger l'ho pagata €3,99). Perche devi far finta di andare via, aspettare che i barracelli si allontanino e rimetterti dov'eri per non pagare €3,50? Sei in vacanza e dovresti stare sereno e rilassato, ma no, devi cercare il pelo biondo nel pube di Hulk anche in spiaggia e fare sterili polemiche tali da infastidire anche i gabbiani. Peraltro le regole sono scritte all'ingresso, puoi sempre scegliere un altro posto.
Da ciò ne deduco che alcune persone sono così, sempre incazzate col mondo, che siano al mare, in montagna o in ufficio. Fortunatamente arrivano le nuvole e tutti cominciano a sbuffare, scegliendo di andare altrove. Anche io lentamente mi alzo e arguisco che all'Argentiera sicuramente c'è il sole, me lo sento. Ma evidentemente sentivo male visto che sulla provinciale sembra debba esplodere l'uragano Katrina, sempre con camion davanti, of course. Non demordo, io in fondo il sole lo vedo, è solo un po' timido e si nasconde, è palese! Ma no, non è così, all'Argentiera diluvia e io non sono più tanto sicura di voler arrivare fino in fondo. Invece arrivo, piove ma questo posto mi regala sempre una malinconia bella e pulita, anche sotto la pioggia. Forse c'è un po' di disastro in questo posto, e probabilmente questo me lo fa amare in maniera incondizionata. Sono bagnata fino al piloro e mi rifugio nel mio albergo, e poi vado a prendere il mio regalo: un sorriso e dei colori di una bella persona. E così mi godo l'ultimo tramonto sulla mia terra: quel sole che si nasconde dietro le nuvole, che gioca a nascondino con la mia pelle, mi mancherà fino a stare male.E allora me lo prendo tutto, fino all'ultima goccia che si spegne fra le onde, perché questo è ciò metterò nello zaino stasera. 

giovedì 10 settembre 2020

Di alberi, colori e tempeste

Stamattina saluto Oristano col sorriso: da qua ho esplorato la penisola del Sinis che mi ha emozionato e sorpreso. Mi ha accolto e ora, nel lasciarla, me ne porto un pezzo dietro, e sa di confini che si confondono e si mescolano. Prendo la Nord Occidentale, così da avere il mare alla mia sinistra: ovviamente la signorina di Google maps non apprezza visto che impiegherò il doppio del tempo. Ma io non ho fretta. Il cielo no, non è sereno, ma io sono impavida e decido di andare a S'Archittu. All'inizio della spiaggia trovo una casetta dei libri: mi sembra un segno di grande civiltà lasciare un libro e prenderne un altro. Faccio una piacevole passeggiata sul lungomare, il panorama aiuta a rendere tutto più interessante. L'arco scavato nella roccia è in fondo, lo vedo e mi perdo. La natura fa delle cose sorprendenti, stabili e sicure, senza bisogno di alcun architetto. Riparto e toh! Non ci vuoi mettere un camion che viaggia a 30 km/h?! Certo, ho il tempo di gustarmi tutto il panorama ma dopo un po' anche basta. Vedo un cartello con scritto "albero millenario" e perché no? Così nel frattempo il camion si sciacquerà dai culurgiones. La strada per l'albero millenario ad un certo punto diventa lastricata e/o sterrata, a seconda delle curve. Arrivata ad una curva con dosso decido di tornare indietro, visto che questo genere di strade in Sardegna spesso riservano l'effetto pentolaccia: può essere che dopo il dosso la strada si allarghi ma può essere che diventi un imbuto dal quale non riesci più a uscire. Viste le precedenti esperienze torno indietro, parcheggio e ci vado a piedi. La signorina di Google maps non la prende benissimo. Cammino in mezzo ai sassi, con le infradito, non proprio agevole, guardo il cellulare: non c'è campo, qua non prende neanche il termometro. Arrivata al dosso incriminato mi rendo conto...che dopo c'è una strada ampia, lastricata e con una serie di slarghi per fare manovra e tornare indietro. Non fa niente, avevo voglia di passeggiare, no? (la signorina di Google maps sghignazza). Quando mancano 30 metri dall'albero...spunta fuori un cane. Non c'è ombra di un umano, silenzio assoluto, il cane non ha guinzaglio e forse di lavoro fa il guardiano dell'albero millenario. Forse non è il caso di farlo incazzare, peraltro neanche abbaia e mi guarda in cagnesco, manco a dirlo! Torno indietro senza arrivare all'albero, evitando una rissa col cagnone della quale faccio volentieri a meno. Ostinata, riprendo la macchina e arrivo esattamente sotto l'albero: tutta la fatica è ripagata da ciò che vedo. È immenso, non riesco a prenderlo tutto con l'obiettivo 50 mm, devo mettere il grandangolo ma anche qua non rientra nella cornice convenzionale e sono costretta a catturarlo in diagonale: è un albero vanitoso, è necessario impegnarsi per fargli un ritratto. Entro sotto le sue fronde e mi sento dentro una casa: chissà quanti ne avrà ospitato questo olivastro, e sotto le sue grandi braccia avrà protetto pastori, pellegrini o banditi, ché siamo tutti uguali quando abbiamo bisogno di un tetto dove ripararci. Vado via con una bella sensazione, di fiducia e speranza. Attraverso paesini che sono una sfida alla logopedia: Tresnuraghes mi riserva un bel dipinto; Magomadas mi fa capire che dietro l'angolo c'è il mare. Bosa arriva senza preavviso con la sua esplosione di colori, e se dovessi scegliere una foto dei vicoli di questo paese non saprei quale scegliere. Di certo è un posto fiorito: ovunque ci sono barattoli, scarpe e vasi di fiori, mi perdo nelle sue strade, parlo con le signore affacciate ai portoni, ciascuna col suo uscio abbellito di colori e foglie. Vado via sazia e appagata, e tralasciando la poesia, a saziarmi non sono stati i colori di Bosa ma un lauto pasto in un ristorante impertugiato in un vicolo. Il cielo minaccia pioggia ma io sono sempre fiduciosa e vado a Cumpoltittu. Mi avvio nell'agevole stradina che dovrebbe portarmi al mare ma a metà percorso una serie di tuoni e fulmini mi fa desistere. Mi accontento di vedere la spiaggia, splendida e verde anche col cielo in tempesta, dall'alto. Apro una piccola parentesi: se abbasso l'inquadratura continuo a vedere lo splendore di Cumpoltittu ma anche la miseria e la stronzaggine umana, ché i rifiuti ve li dovete portare a casa o infilarveli nelle narici. Arrivo ad Alghero e la mia giornata finisce con una pioggia battente, ma io sono contenta: il rumore della pioggia mi riconcilia col mondo intero e posso scrivere i miei pensieri, quelli che nascondo in fondo al cassetto del tempo. Peraltro il mio albergo è iper moderno e avveniristico, e ora scusate, vado a chiamare Bernacca e Baroni per sapere le previsioni meteo per domani. 

mercoledì 9 settembre 2020

Un salotto pigro

Oggi a Oristano c'era un bel sole, potevo andare al mare, a Putzu Idu ad esempio, come pensavo ieri notte, ma stamane mi sono svegliata con lentezza, senza la voglia di seguire programmi o idee. Sono uscita pigramente per le vie di Oristano con l'intento di conoscere meglio questa cittadina che mi ospita. È un salotto buono ed elegante con quei tavolini all'aperto che invitano a fermarsi e ad assaporare la Vita. Qualche campanile che svetta, a ricordarmi di sollevare la testa per guardare oltre, fosse anche in maniera distorta. Ovviamente stare col naso all'insù mi procura delle rovinose cadute, ma tant'è. La piazza dedicata ad Eleonora d'Arborea mi porta verso l'antico splendore di quest'isola, a quella Donna forte, reggente del Giudicato di Arborea, l'ultimo Stato sardo ad essere ceduto a regnanti esterni dell'isola. Sui muri della città segni e disegni della tradizione, ma anche qualche segno di ribellione. C'è sempre qualcuno che si scosta dalla norma, Oristano non fa eccezione, e la sua eleganza talvolta viene meno, e probabilmente è giusto così. Mi lascio assorbire dai ragazzini che si rincorrono con le loro biciclette, le loro gare non sanno di fango e terra ma di pavimenti tirati a lucido e torri gloriose. Rimango sorpresa dal fatto che nel centro storico non ci sono negozi di souvenir ma parecchie librerie; entro nell'ufficio informazioni turistiche e chiedo dove posso trovare delle cartoline da spedire, consapevole che questa forma di comunicazione ormai è obsoleta e che presto sarò costretta a spedire i biglietti del parcheggio. La signorina mi guarda con tenerezza, come se avessi cercato di vendere una TV al plasma ad una comunità amish, mi spiega che no, non ci sono negozi del genere ma posso trovarne uno nel vicino centro commerciale. L'idea di andare al Centro commerciale mi procura lo stesso entusiasmo di Maria Antonietta la mattina del 16 ottobre 1793. Incontro il suddetto centro commerciale all'uscita della cittadina, sulla strada per Cabras: è grande quanto l'Esselunga di Sesto Calende, perciò decido di fermarmi. Il negozio di souvenir esiste ma le cartoline non rendono giustizia a questo pezzo straordinario di Sardegna ma riesco comunque a trovare una trunfa, ossia lo scacciapensieri sardo: lo suonerò nei momenti di nostalgia nelle nebbiose mattine piemontesi. Mi dirigo verso Cabras perché voglio mangiare la bottarga, quella buona. Il paese sembra quasi fantasma, probabilmente sono tutti a pescare muggini, mi da un senso di malinconia ma anche di concretezza. Bene, è l'ora di andare al mare...ma, che tempismo, improvvisamente il cielo diventa nero e tira un vento che i fichi d'India si staccano dalle pale. Ma io sono perseverante e vado comunque a Putzu idu, e se piove ancora meglio, sarà l'occasione per lavare l'auto che versa in condizioni pietose dopo gli sterrati di questi giorni. Il risultato riguardo la macchina non è dei migliori, anzi, forse la situazione è persino peggiorata, di certo posso lasciarla incustodita ché a nessuno verrà voglia di scassinare questo miscuglio di terra e salsedine. Riguardo Putzu Idu, beh è facile per voi fare le foto fighe del mare cristallino, provate invece a farle quando soffia un vento che porta via anche i peli superflui e i gabbiani non riescono neanche a librarsi in volo. Facciamo che torno ad Oristano...ma perché non perdersi prendendo la strada a sinistra anziché a destra? Perché solo così posso scoprire i paesini del centro, le case basse e i negozi alternativi. Solo così posso trovare muri che sono pagine di tempo buono.