sabato 20 agosto 2022

Il mio zaino da Santiago

Non è la Compostela o i km percorsi a dare valore a questo cammino ma sono le Persone, quelle che ho incontrato e ho messo dentro lo zaino per portarle via con me. A loro devo tutte le cose belle del mio viaggio, sono loro il mio ricordo più bello e sono loro che mi hanno reso più ricca. Sono partita da Porto e la prima persona che ricordo è la signora che ha messo il timbro ufficiale alla mia Credential: sapeva dire Benvenuta in ogni lingua possibile, aggiungeva sempre un sorriso e da lei ho ricevuto il primo Bom caminho! Di Porto mi rimarrà dentro la donna che mi ha venduto l'acqua vicino a Piazza Ribeira: in quelle 4 mura malconcie aveva la musica a cannone, le casse enormi tanto che la musica si sentiva fino alla sponda opposta del Douro. Vendeva solo birra e acqua, oltre a sorridere e ballare con chi la comprava. A Matosinhos ho incontrato una coppia che correva: lui cercava di comparire nelle mie foto, era allegro e probabilmente aveva capito che ero matta quanto lui. Dopo un'ora l'ho rincontrato: lui mi ha riconosciuto fra tanti pellegrini, io l'ho riconosciuto perché sorrideva. Il primo timbro fuori da Porto l'ho fatto in una sorta di edicola - tabacchi - alimentari - VendoAncheMiaNonna. La signora era sorridente, mi ha dato il suo biglietto da visita e una chiacchierata cercando lei di parlare in italiano e io una sorta di esperanto, mixando portoghese, sardo e spagnolo. Alle porte di Labrouge un gruppo di umarell vedendomi col capo chino a controllare maps, mi ha indicato le passerelle che non vedevo, pur essendo queste a un metro dal mio naso. Presumo che questi rimangano lì tutto il giorno solo per mettere i pellegrini sulla retta via. Gran bel compito, grazie. Mi porto dietro anche la chiacchierata con un ciclista: non so il nome, era spagnolo, ero fuori dai bagni pubblici lungo l'oceano, credo vicino a Villa do Conde, aspettavo che Francesca uscisse, si è fermato, mi ha raccontato di aver fatto ben 9 percorsi in Portogallo, ha cercato di raccontarmeli, non ho capito nulla ma ho fatto finta di capire tutto, mi ha consigliato di prendere una "cerveziña" quando avevo troppo caldo e non ho avuto il coraggio di dirgli che ero astemia. Era dolcissimo. Devo molto a Connie, la donna di Aguçadoura che mi ha permesso di dormire sotto un tetto, dentro uno sgabuzzino ok, ma sotto un tetto. E no, non è scontato, poteva fregarsene e invece è andata a cercare due materassini chissà da dove, li ha portati trascinandoli e cercando di pulirli. Poteva fregarsene, poteva non farsi quello sbattimento, e invece lo ha fatto. Ed io gliene sono grata e riconoscente. Porto con me anche il ragazzo di Esposende che metteva il carimbo (timbro o sello) fra i braccialetti del suo banchetto: aveva l'accortezza di aprire la Credential, chiamarti per nome e darti il benvenuto nella tua lingua. Neanche questo è scontato ed è una forma di accoglienza bellissima. Devo una stretta di cuore e tante riflessioni al ragazzo ucraino che ho incontrato a Marinhas, all'albergue municipal di S. Miguel. Ha fatto il cammino portandosi dietro l'hand pan, gli ho chiesto perché portarsi dietro quel peso, mi ha risposto: preferisco portare questo che tante cose inutili, questo lo suono e fa star bene me e chi mi ascolta. Aveva ragione. 
Gae è arrivata dalla California: ha 80 anni ed è stata operata al ginocchio due mesi fa, si vede dalla cicatrice ancora fresca. Faceva le mie stesse tappe, magari arrivava qualche ora più tardi di me ma arrivava sorridente, allegra e con la curiosità di una bambina. Dovremmo tutti conservare la curiosità di Gae. 
Sara è tedesca, ha 22 anni, per due anni si è arruolata nelle forze armate tedesche, portava sulle spalle uno zaino di oltre 20 kg di peso, dentro aveva tutto il necessario per sopravvivere anche in condizioni estreme: cibo sottovuoto, stoviglie in metallo, centilena portatile, una tenda di quelle militari, con i ferri, che solo l'impalcatura pesava un quintale. Aveva gli scarponi alti, più pesanti di lei, quando ha tolto le calze aveva la pianta dei piedi completamente bucata dalle vesciche, al punto che si vedeva la carne viva. Francesca le ha offerto le sue garze, lei ha scrollato le spalle e ha sorriso: no grazie, ho le mie ma tanto non è niente. Certo, cosa vuoi che sia avere i piedi aperti e fare 30 km al giorno con degli scarponi che pesano quanto un masso di granito? Per Sara non è niente, lei sicuramente ha lo scendiletto chiodato e cammina sui carboni ardenti almeno un'ora al giorno. È graziosa Sara, dolce e delicata sotto la sua scorza da panzer.
Porto con me anche Carlos, un signore di Moledo che, sulla strada per Caminha, mette un sello sulla Credential dei pellegrini. Non ci guadagna niente, semplicemente si diverte a parlare con le persone e a colorare il suo sello. Se guardate sulla Street View di Maps è visibile anche lì. Credo che accogliere i pellegrini sia la sua ragione di vita. Quanto è bello Carlos!
Porto con me anche la signora di A Guarda: erano le sette del mattino, si era appena svegliata, ci ha chiamato a gran voce e ha consegnato a ciascun pellegrino una miniatura di Santiago. Perché? Voleva farci un regalo, ci ha chiesto: vi ho fatto una bella sorpresa? Un regalo, un pensiero per iniziare bene la giornata. Neanche questo è scontato: qualcuno che pensa a come rendere migliore la tua giornata. Porto con me Alejandro, un ragazzo spagnolo con il quale ho condiviso una salita a Sao Pedro da Ramallosa. Era zoppicante Alejandro, aveva le rodillas, le ginocchia, a pezzi. Poteva risparmiare il fiato e invece mi ha spiegato il significato delle conchiglie, della concha vieira simbolo del cammino di Santiago, oltre ad un sacco di cose sul Pazo Pías, l'ospedale ormai diventato un albergue del pellegrino. Poteva risparmiare il fiato ma non lo ha fatto, mi ha concesso una chiacchierata, poi mi ha detto di andare avanti perché "altrimenti ti rallento". 
Porto con me anche Orlando, un ingegnere meccanico venezuelano che vive nel Kentucky. Ad ogni tappa comprava una bottiglia di vino, quando arrivava alla fine la stappava e la condivideva. Mi ha raccontato un sacco di cose: al college ha giocato a calcio e anche a lacrosse, indossava delle pantofole che gli aveva fatto la mamma con un telaio casalingo, ha 6 figli, il maggiore faceva il cammino con lui. Orlando mi ha offerto da bere, mi ha regalato circa un'ora della sua vita, infine mi ha insegnato a ballare. L'unico uomo in grado di farlo. Ah, indossava una sorta di kilt ma questo è un dettaglio. 
Elena, di Genova, me la porto via perché è caparbia, perché non gliene frega niente di quello che fanno gli altri, lei fa di testa sua e se ne frega. L'ho incontrata sul cammino litorale, io andavo su quello della costa, lei aveva deciso di fare quello centrale. Dopo due tappe l'ho rincontrata e stava facendo quello della Costa ma forse avrebbe fatto quello spirituale, o forse un altro, dice: sai, io vado un po' dove mi porta il vento, che mi importa? Sicuramente è arrivata a destinazione, seguendo un suo personalissimo percorso. Mi porto Duccio Vidal, un uomo incontrato sulla strada di Redondela: aveva vissuto in Germania e lì aveva cantato con un'orchestra italiana "la rubacuori". Abbiamo fatto un pezzo di strada assieme, abbiamo cantato canzoni di Nicola di Bari, Celentano, Modugno e altre. Ha reso più leggera la mia strada e non era obbligato a farlo. Mi porto dietro i due agenti della Guardia Civil: abbiamo parlato per un po', mi hanno spiegato come funziona il loro corpo, quanto è importante che il cammino di Santiago sia sicuro, che nessuno corra dei rischi, mi hanno chiesto di pubblicare la loro foto sui social "perché i pellegrini devono sapere che possono rivolgersi a noi quando c'è qualcosa che non va". Mi porto dietro anche Fulvia, una ragazza che partiva sembra dopo di me e che arrivava sempre prima di me: non so che strada facesse, cosa prendeva alla mattina ma quando credevo fosse alle mie spalle mi rendevo conto che era davanti a me. È simpatica Fulvia, ride e ti disarma. Infine mi porto dentro Gian Marco & friends, dove per friends intendo Gaia, Anna, Giada e Lucio. Gaia ha fatto tutto il cammino con i piedi feriti, l'ho vista piangere ma anche ridere tanto, tantissimo. Anna fin dalla prima tappa si è fatta male al ginocchio, ha zoppicato per le restanti 12 tappe, anche lei ha pianto durante il percorso ma nelle orecchie ho ancora l'eco delle sue risate: da lei ho imparato la tenacia. Giada è la più giovane del gruppo, 24 anni, bella, intelligente e sorridente. Dovrebbe avere il mondo fra le mani e buttarsi a capofitto nel mare delle opportunità. Ha un po' di paura, qualche insicurezza ma io lo so che quella ragazza farà grandi cose nella vita. Una la fa già e le riesce benissimo: rovinare le foto altrui. Ma le voglio bene a questa ragazzina, così timida da arrossire di fronte ad un complimento; che bella cosa arrossire. Lucio ha iniziato il suo cammino portandosi dietro un piantina di basilico, l'ha scordata in un albergue, ha percorso oltre metà delle tappe con le Birkenstock, anche lui con i piedi martoriati. Quanto ho riso con Lucio, questo giullare che sembra giocare a nascondino col dolore. Un giorno vorrò riabbracciarlo, forte. E infine Gian Marco. A lui ho dato l'abbraccio più forte, per lui mi sono preoccupata e con lui ho condiviso le risate migliori. È il figlio che non ho avuto, quello che nasconde la sua fragilità dietro un naso da pagliaccio, quello sul quale puoi contare anche quando è lui ad essere in difficoltà. Lo adoro questo ragazzaccio dolcissimo. In ultimo, grazie a Francesca: ho imparato a fidarmi perché nonostante tutto mi è rimasta a fianco anche quando la mandavo a quel paese. Forse è così che si impara la fiducia. 

venerdì 19 agosto 2022

Ultima tappa di emozioni che non so dire

Alla fine questa agognata tredicesima tappa è arrivata ed è iniziata alle 4:15 del mattino. No, non ha suonato la sveglia, semplicemente ero sveglia perché la signora dell'Albergue ha deciso di dare un privilegio a noi donnine e ci ha messo in una stanza separata dagli altri. In questa stanza c'erano due letti a castello, l'altro era occupato da due ragazze spagnole. Sarebbe stato tutto molto bello se la stanza non fosse stata senza finestre e piccola come un loculo. E visto che non respiravo, tanto valeva alzarsi. Sono partita da Padrón e mancavano poco più di 25 km alla meta. Buio, buio da morire, attraverso paesini abbandonati, statali, poi paesini con qualche traccia di vita, e lavatoi. Ma parliamo dei lavatoi della Galizia ragazzi: ce ne sono tantissimi, quasi ogni paese ne ha uno, per la maggior parte sono tenuti benissimo ed io mi perdo ad immaginare le donne che qua insaponavano panni e chiacchiere. Nel frattempo mancano 20 km, zio cantante mi sembrano infiniti oggi... Ma toh! Un altro lavatoio. Ma non si possono usare per fare il bagno in estate? Secondo me i bambini apprezzerebbero. Una chiesa, bellissima sicuramente, per salire ci sono una ventina di gradini... Ciao chiesa, sei bella ma sei troppo in alto, sarà per la prossima volta. Le prime tracce dell'alba arriva ad A Angueira de Suso, è sempre bella e mancano 17 km. Accelero il passo, mi sembra di essere ferma e che i km siano infiniti, mi ritrovo ad Areal, un paesino minuscolo che mi concedo di fotografare. Un bosco, ne avevo quasi nostalgia, me lo godo per qualche km, mando un messaggio a Gian Marco & friends che pensavo fossero più avanti e invece sono dietro. Ci fermiamo su un muretto, facciamo colazione e aspettiamo i ragazzacci. Un gatto mi guarda, sembra dire "ma chi te l'ha fatto fare?". Eccoli là, questi ragazzi belli da morire, con tutta quella vita fra le mani, con tutta quella strada da costruire. Il sole ci spara davanti tutta la sua forza quando mancano 13 km. No, oggi non passano mai. Un bosco e finalmente il cippo dei 10 km: da lì in poi è solo un countdown, un avanzare per vedere la fine. Mancano 8 km e Lucio ha bisogno di fermarsi, ne approfitto per mangiare una tortilla che questo conto alla rovescia mi ha messo appetito. Mettiamo l'ultimo sello in una chiesa prima di dirigerci a Santiago, poi si sale, vediamo le torri della cattedrale da lontano, immerse nel bosco di palazzi e rumore. Zio cantante se si sale, ma l'arrivo non poteva essere in discesa? Cinque! Solo 5 km, daje tutta ragazzi! Dei binari, non posso fare a meno di fotografarli: ho scherzato, non ho mai pensato di prendere il treno. Un bosco, cerco di godermelo, è l'ultimo, poi sarà città e asfalto. Siamo a un bivio, dobbiamo scegliere: andiamo a sinistra, of course, dai che faccio una foto...ma toh! Ecco Giada, famosa per comparire in tutte le foto dove non dovrebbe esserci! L'ultimo cippo che vedrò sarà quello dei 2 km, poi è semplicemente Santiago che ci guida verso Praza de Obradoiro. È questa la prima foto che scatto: un raggio di sole a far riverbero, la cattedrale di Santiago, bella e maestosa, io che urlo e faccio un video per mia madre, io che ho il groppo in gola. Tolgo lo zaino, sono leggera, abbraccio Francesca, la mia ragazza, compagna di questo viaggio. E poi Gian Marco: lo stritolo questo ragazzo cazzaro che è un concentrato di tenerezza ben nascosta. E poi gli altri, tutti. Ma di loro vi parlerò domani. E domani devo anche raccontarvi che mi hanno sbagliato la Compostela e ho dovuto rifarla, perché figurati se andava tutto liscio. Ora sono ubriaca di stanchezza, Vita, lacrime ed emozioni. Domani ho un treno per Madrid e avrò tempo per mettere ordine nella mia testa, riordinare le mie emozioni che ora sono confuse. Devi riguardare questo lungo cammino: un serpente di emozioni e immagini che si snoda da Porto fino a Santiago di Compostela. E dentro ci sono tutte le persone che hanno reso questo viaggio straordinario: domani vi racconterò di loro, questa enorme, gigantesca ricchezza. Ora vado ad ubriacarmi nell'appartamento che hanno affittato Gian Marco & friends, dove Lucio ha preparato la carbonara e Gian Marco ha fatto il giullare. E scusateli se sono stati troppo morigerati.