sabato 24 settembre 2022

La partenza verso due case

Il giorno della partenza mi sento come quel bambino conteso che Salomone voleva dividere a metà, spezzandolo in due per accontentare le due madri. Inutile dire che mia madre avrebbe voluto caricare la mia Smart come fosse una station wagon: la mia mezza macchina era piena come un uovo sodo però mamma era contenta. Ho salutato mio padre, intento a fare il vino, mi sono ubriacata solo a sentirne l'odore. Come sempre io butto tutto in caciara, abbraccio mia madre, la stringo, poi mi stacco e dico qualche pirlata. Prendi i pomodori che quando sei lassù non ne trovi così buoni. Tuo padre ti ha messo da parte la pancetta e le salsicce, che quando le cerchi non le trovo così dove abiti tu. Entro in macchina e mi chiudo in un mulinello di pensieri che non cessa fino all'indomani. Per andare a Porto Torres ho scelto di non fare la quattro corsie, o la 131 che dir si voglia. No, ho scelto di fare la strada interna: infiniti chilometri di strada vuota, senza incrociare auto, un viaggio silenzioso e la mia testa che volava in due direzioni opposte. Lasciare mia madre è devastante, mi uccide. La vedo piccola e sola, la immagino dentro quella casa, fra uncinetto e cucina, e chissà quante volte avrà bisogno di me e io non ci sarò. Mi sento in colpa e allo stesso tempo riconosco che ho bisogno dei miei spazi, dei miei tempi che non collimano con quelli della mia famiglia d'origine. Sono arrivata a Sassari e ho raggiunto Sara, siamo andate a pranzo insieme, c'era anche Chantal con lei ed io ero con Francesca. Abbiamo mangiato un buon pane frattau e abbiamo riso tanto, ci siamo abbracciate strette perché ci siamo mancate: lei fa parte della mia famiglia, ha iniziato a farne parte 3 anni fa. Ho poi incontrato due twitterini: quel social che io definisco un circo, mi regala sempre delle persone graziose e gentili. Mavi mi ha regalato una passeggiata colorata, ricca di parole ed emozioni, ma soprattutto mi ha regalato un passaggio tra i primi fiori di Jacaranda. Ho anche incontrato Gianni: un uomo gentile e riservato, semplice e senza molti fronzoli. Ecco, Twitter serve anche a conoscere persone che ti regalano un pezzo della loro strada, e questo non è scontato, è un regalo. Piove, il porto sembra ancora più malinconico. Per fortuna Sara ha portato la birra, Chantal dei tramezzini, io le pardulas, Francesca la focaccia. Ci facciamo compagnia. Io però ho il cuore spezzato, una parte di me è rimasta davanti a quella porta che ho lasciato aperta, che in casa non si chiude mai la porta, rimane così, come se qualcuno dovesse tornare. Un altro pezzo di cuore è rimasto a Casa, nell'ultima foto che ho scattato ieri al suo profilo maestoso, rude eppure così accogliente. Ma l'altra parte di me è contenta di tornare a casa, dai miei gatti, dall'altra mia famiglia. La mia seconda famiglia sono gli amici, quelli che mi hanno accolto e fatto sentire a casa, la mia famiglia sono Sara, Roberto, Francesca e tutte quelle persone che mi abbracciano quando sto per cadere, quelle che mi tendono le mani quando mia madre è lontana, quelle che entrano in casa e non mi fanno sentire sola. La mia famiglia sono due e ho più case, perché in fondo puoi lasciare un pezzo di cuore ovunque ci sia qualcuno che riesca a combaciare con te. 

Di spiagge e del compleanno di una pervinca

Stamane sono voluta andate alla spiaggia delle vacche così da chiudere in bellezza questo piccolo ritorno a casa. Non è un posto immediato, devi camminare tanto, arrampicarti, perderti e infine meravigliarti; insomma, te lo devi meritare questo posto. Alcuni però non lo meritano: l'area intorno alla spiaggia è ridotta ad un cesso ambulante e per quanto si, non ci sono servizi, è buona norma portare un sacchetto con sé e metterci dentro la vostra fottuta carta igienica. Prima di scegliere questa spiaggia sappiate che Google dice che impiegherete mezz'ora, voi però calcolate il doppio e considerate che la strada è un campo di battaglia. Però quando arrivi ti è consentito un bagnetto nella piscina più bella del mondo. Torno a casa perché oggi è una giornata speciale: mia madre compie 81 anni. Ha chiesto di non festeggiare, niente torta mi raccomando. E infatti così è stato: niente torta ma solo due dolcini per 4 persone. Eh si, noi abbondiamo un pochino. Era contenta mia madre, era contenta di noi sedute intorno al tavolo a chiacchierare e mangiare. Mia madre che se potesse volerebbe pur di non arrecare disturbo alla terra, lei che ha gli occhi di un mare che non ha mai visto, che si circonda di fili da intrecciare e sorride senza farsi vedere. Siamo anche andate insieme in campagna, dai vieni figlia mia che tanto non c'è niente da raccogliere. Ecco qua il niente da raccogliere che fa ben capire quanto mia madre abbia il senso della misura. Abbiamo parlato, riso e scherzato, poi si è messa a fare uncinetto, a intrecciare cotone, pensieri e destini. La guardavo, curva su quel groviglio di fili, e pensavo a quanto questa donna meriti una serenità che ancora non arriva. E no, non voglio dire che mia madre è una donna forte perché non avrebbe voluto esserlo. Mia madre è stata costretta a resistere, non è nata forte, non ha potuto scegliere di essere fragile, ha dovuto resistere a tutti gli urti della vita. Mia madre aveva un giardino rigoglioso, quando è morto mio fratello ha strappato via quasi tutti i fiori e li ha sostituti con piante grasse. Una pervinca è riuscita a sopravvivere in condizioni disperate a quella devastazione ma un giorno mio padre la strappò via durante una delle sue azioni edificanti e gioiose. Oggi mi sono accorta che una pervinca è nata, cresciuta e fiorito a poca distanza dall'altra. Ho gioito, sono corsa a dirlo a mamma, lei ha sorriso e gli occhi le brillavano. Mia mamma è quella pervinca. 

giovedì 22 settembre 2022

Un cerottino e qualche carezza

Oggi vi racconto la mia giornata partendo dalla fine: rientro ora da un aperitivo con Federica e Francesca, mancava giusto Sara ma l'abbiamo nominata così tante volte che in realtà era con noi. Ho riso e ascol3, ho abbracciato e raccontato, sono stata divinamente e mi sento fortunata se penso a queste Donne che mi vogliono bene e mi danno così tante carezze. Nel pomeriggio ho avuto voglia di splendore, di cose meravigliose, uniche, sono andata al mare e ho guardato la Bellezza col groppo in gola. E ancora sento qualcosa che raschia, proprio qua, fra gola e cuore. Stamane sono andata con mia madre a casa dei nonni: dovevamo pulire la loro abitazione che ormai è chiusa da 8 anni, da quando è morta mia nonna. I miei nonni avevano una casa a 3 piani e mezzo, possedevano terreni e case un po' ovunque, erano considerati benestanti e lo erano. Mio nonno era una perla rara, buono e generoso con tutti, un lavoratore umile e allegro, affettuoso e illuminato, ha fatto studiare tutte le figlie affinché si emancipassero, amava leggere e in quella casa l'unica cosa che non mancava mai erano i libri, mi offriva le mentine e quando ritirava la pensione mi dava dei soldi di nascosto. Potrei dirvi che mia nonna era altrettanto fantastica ma no, mia nonna era una stronza e mentre lo scrivo mi sento più leggera. Quando parlo di una nonna buona sto parlando dell'altra nonna. Questa invece era despota, spesso cattiva ma soprattutto era avara nel senso patologico del termine. Della sua avarizia è rimasta una casa gigantesca che cade a pezzi con dentro ogni genere di oggetto: un vecchio telefono, un altarino a sant'Antonio senza fiori né luce, un mappamondo delizioso, una quantità esagerata di santi, sparsi ovunque, dentro ogni suppellettile e sopra i muri, una chitarra e un fucile, una ballerina dentro un carillon, una trappola per topi e un miliardo di altri oggetti che non ha mai usato per paura di consumarli e che ora si sgretolano al tocco.
Ho vissuto a casa di mia nonna per due anni; quando mi chiedono dove abbia fatto le scuole superiori, rispondo "i primi due anni ad Alcatraz e gli altri 3 ad Olbia". Alcatraz era questa casa enorme e fredda dove ho dovuto vivere per cause di forza maggiore. La verità? Non c'erano le possibilità economiche per farmi studiare, la scelta era tra vivere a casa di nonna o interrompere gli studi dopo la terza media. Ho scelto di studiare, e studiavo qua dentro, spesso con poca luce perché accendere la lampadina costava, si acquistano solo mele perché l'altra frutta costava, se finivo un quaderno non c'erano soldi per comprarne un altro, mi accompagnava da mia madre una volta ogni mese o ogni due mesi perché la benzina chi me la compra per accompagnarti? Forse mi odiava ed io mi sono sempre sentita immeritevole del suo affetto, sempre in difetto e sbagliata. Ho tante ferite rimediate in quei due anni, e no, non si vedono ma io le sento ancora tutte. Oggi quando sono entrata in quella casa mi è mancato in fiato, mi sentivo soffocare e come sempre ho buttato tutto in cacciara, ho riso mentre dentro tutto si screpolava fino a rompersi. Quando sono andata via in tasca mi sono ritrovata un pacco di cerotti: un giorno trasportando della legna mi procurai un piccolo taglietto sul dito, non c'erano cerotti, ovviamente, mio nonno andò a comprarli di nascosto e me ne mise uno con così tanta dolcezza che piansi per tutta la sera. Erano ancora dentro la credenza, li ho presi senza riflettere, forse perché mi appartenevano. E forse li ho presi perché so di aver bisogno di molti cerottini per suturare qualche ferita di troppo: ho bisogno dell'abbraccio di Federica, delle attenzioni di Francesca, della presenza di Sara, degli occhi attenti di mia madre e delle carezze degli amici. Sono questi i miei cerotti, ed io sono fortunata ad averli. E forse un giorno sarò in grado di perdonare. 

Tavolara e movida

Quando scrivo Casa, con la maiuscola, io intendo Tavolara. Oh no, non sono impazzita ma io considero questa montagna qualcosa che mi appartiene, dove so che non ho bisogno di chiavi e spiegazioni per entrare. Stamane ho preso i biglietti del traghetto e via di corsa verso questa montagna che spunta dal mare. La moltitudine dei turisti sono tornati a casa spaventati dalle nuvole. Sono turisti ovvio, e dimenticano che qua siamo su un'isola e il cielo cambia ogni minuto. Infatti quando sono arrivata a Casa sorridevo tantissimo: le nuvole avevano finito la loro danza e il cielo era limipigo come una biglia di cristallo. Divido la spiaggia con... altre 3 persone: non credo riuscirò mai più a vedere Tavolara così, e allora meglio approfittarne. La giro tutta, cammino spedita che voglio arrivare a Spalmatore, mi volto sempre indietro per capire quanto è maestosa, poi vedo da lontano quell'istmo bianco, la mia meta, ed è qua che le due correnti si incrociano e si scontrano. La giro tutta Spalmatore, questo pezzo di terra che è la patria dell'aglio selvatico, anche se no, non si può mangiare, spiace! Torno indietro e la guardo: quanti segreti ho confidato a questa montagna, quando ero ragazza la guardavo da lontano e parlavo, spesso piangevo, ma di fatto ringrazio anche i santi del 38°  giorno per il fatto che Tavolara non possa parlare e spifferare al mondo tutti i miei peccati. Passo anche dal cimiteroe già che ci sono butto uno sguardo alla regina, tanto siamo in tema, no? Mica sarà diversa questa! Sono serena qua in mezzo all'acqua, faccio un bagnetto rigenerante e poi mi ricordo che devo partire. Sul natante una signora esclama in continuazione: ci sono i pesci! Che meraviglia, ci sono i pesci! Ora, signora mia, capisco tutto ma in mare che vuoi trovare? Fagioli borlotti? Eh no, ci sono i pesci! E poi si parte, ed è questo lo strappo peggiore, quanto la barca si allontana e dietro rimane una scia blu, chiara e luminosa, da far lacrime gli occhi, e quella schiuma sembra segnare un filo che non si spezzerà mai. Chissà perché oggi voglio infliggermi dei ricordi indicibili, chissà perché sono voluta andare alla Cinta, questa spiaggia lunga come un nastro che ora sembra attorcigliarsi attorno a me fino a non farmi respirare. Si, perché questa è la spiaggia della mia adolescenza, quando al mare si andava con quei trabiccoli senza freni, quei motorini che si parcheggiano buttandololi sopra un cespuglio, non c'erano i chioschetti, ci portavamo da mangiare e da bere, e poi aspettavamo l'imbrunire fra un bacio e una canzone di protesta. Torno a casa, oh mamma, ciao tutto bene? Si, figlia, c'è da andare all'orto. A fare che? Non a ballare il flamenco di certo. Ragazzi, che buone le cose fresche e sane, ma raccoglierle dall'orto è una palla senza eguali. E allora mamma oggi racconta delle mucche: sono mansuete dice, vedi che non ti fanno niente? Ragazzi a me sembrava mi stessero puntando e quando quella grossa sulla destra ha fatto un movimento strano, io ho corso che Jacobs mi spicciava casa. Rimango a guardare mio padre, è sotto una sughera che aspetta qualcosa che non so, con pazienza e silenzio. Il cielo oggi ha qualche livido di troppo, io penso agli errori che rifarei e alle persone che mi mancano. E dopo cena esco ragazzi, oggi faccio movida ragazzi, olè! Eh si, vado al bar del paese ad incontrare uno del mio clan: il clan è composto da 36 cugini in primo grado, i quali hanno tutti dei figli e questi figli ne hanno fatto altri. E andiamo tutti d'accordo, ci conosciamo tutti e in fondo ci vogliamo bene. Oh ragazzi che spasso, che divertimento questa movida! Allego prova fotografica. 
Tanta roba eh?