sabato 29 febbraio 2020

Il ritorno nella patria delle mascherine.

Stamattina a Lisbona pioveva, egoisticamente ho sorriso perché sapevo di dover partire. Il cielo si è aperto giusto un paio d'ore, così son potuta andare a fare un giro a Rossio e dintorni, giusto il tempo di compare della Ginjia. Ché agli amici porti qualcosa da bere, mica l'Amuchina. Gironzolando mi sono resa conto di quarnto il mio tempismo sia stato eccellente: la mia rinomata sfiga in questo viaggio mi ha letteralmente abbandonata e no, non ne ho sentito la mancanza! Ho notato che per prendere il mitico tram 28 c'era una fila disumana, qualcosa di indecente! Io qualche giorno fa mi sono fatta neanche 10 minuti di attesa e niente fila, ma non so dirvi se la mia fosse una congiunzione astrale favorevole o semplicemente il segno di Mercurio era appena entrato nella costellazione della Vergine dando vita a quel fenomeno insolito chiamato "culo". Di fatto i piccoli negozietti del centro erano deserti, tutti si sono riversati chissà dove, al coperto forse, ma poco male: per la prima volta lì ho visti col loro splendore che sa di antico e dignitoso. Ho dato un ultimo sguardo alle salite, alle scale e ai dislivelli di Lisbona e no, questi non mi mancheranno affatto: ho i glutei che sembrano scolpiti da Bernini, e le gambe di un ciclista al tour de France. Fa niente, mi sono divertita uguale. Alle 17:30 ho preso un volo per l'Italia e già il viaggio non è andato benissimo: un sacco di persone con ogni tipo di mascherina, da quella verde e azzurra che non serve a una mazza a quella tipo Dart Fener. Ohibò, va bene che in queste due settimane le notizie che mi sono giunte erano contrastanti ma mi sembrava eccessivo. Arrivo a Malpensa e trovo un sacco di cartelli che ci informavano che ci avrebbero misurato la temperatura, e così è stato: un uomo della Croce Rossa mi ha misurato la febbre, mi ha sorriso e mi ha detto "perfetto!"; ho risposto "si, ho solo bevuto troppa Ginjia, per il resto tutto ok, grazie!". All'uscita dall'aeroporto ho visto scene apocalittiche: un signore che era venuto a prendere il resto della famiglia ha disinfettato tutta la macchina con alcool e amuchina, e per tutta la macchina intendo dire TUTTA LA MACCHINA, dalle maniglie, ai vetri, al freno a mano. Tutti con la mascherina, ovvio. Ah si, la mascherina celeste che usa il mio dentista, quella di carta. Però mi ha messo un'ansia ragazzi miei che ora sono a casa e mi sono rifugiata nelle foto del Portogallo per sorridere: i viaggi servono a questo, a sorridere quando intorno c'è avarizia di leggerezza. 

venerdì 28 febbraio 2020

La filosofia del salmone.

L'ultimo giorno e l'ultima notte a Lisbona. Domani alle 17:30 prenderò un volo e rientro in patria. Oggi ho deciso di iniziare la giornata al convento do Carmo: anche i turisti qua si svegliano tardi perciò ho trovato il convento praticamente vuoto. Mi piace venire qua, è come se la Bellezza non avesse bisogno di un tetto per essere tale. Poi ho preso un tram per Belem e con me lo hanno preso tutti quelli che nel frattempo si erano svegliti: presumo di non avere avuto un'idea originale ma a quel punto mi sono ricordata che fare il salmone procura delle enormi soddisfazioni. Quando mi sono accorta che nel tram per Belem avevo una vicinanza così stretta da poter sentire la ricrescita dei peli superflui della signora a fianco, sono scesa per andare alla LX Factory. È un angolo di mondo un po' fuori dal circuito turistico, una fabbrica in disuso dove pullulano street art, gente alternativa, cibo strano ma soprattutto c'è Vita. Per me quel posto è soprattutto la libreria Ler Devagar che significa "leggere lentamente". È un posto straordinario con tutti quei libri riposti negli scaffali altissimi, i muri ricoperti di pagine e parole, le scale per salire da un piano all'altro e quelle strane sculture appese come se quelle parole aspettassero i lettori per poter volare. Ho pranzato all'aperto, fra un graffito, un banano e un albero di limoni, e quando stavo per andare via sono arrivati tutti quelli che prima andavano a Belem: che strade prevedibili percorre la gente! Allora ho ripreso l'autobus e sono andata a vedere la torre sull'acqua ma anche qua sono andata controcorrente: mentre tutti andavano verso la torre o al monastero dei Jeronimos, io sono andata alla Pasteleria de Belem, sono entrata senza far fila, ho fatto merenda, andata in bagno, conversato amabilmente con la mia compagna di viaggio e quando sono uscita c'era una fila lunga fino al monastero. Ho sorriso di come le persone seguano un ritmo così uguale da ritrovarsi tutti insieme nello stesso posto a fare code infinite. Auguri gente, io vado a vedere la torre di Belem sotto la luce del tramonto. Mi sono goduta la luce calda seduta sui gradini e intorno c'erano solo quelli che percorrono strade inusuali, senza seguire le orme di nessuno. Bisognerebbe fare così anche nella vita: scegliere cose, persone e percorsi non ancora tracciati, cose non ordinarie (quindi stra-ordinarie!), solo così potremmo gustare in maniera piena questo meraviglioso piatto che la Vita ci offre. 

giovedì 27 febbraio 2020

Una giornata da selfisti.

Prendere un treno e lasciare Lisbona e il suo caos è salutare, quindi un treno per Sintra ci stava tutto. È incredibile notare come qua i treni arrivano e partono in orario. E anche i bus: c'è scritto 14:10 e realmente partono a quell'ora, e sono puntuali senza che vi sia alcun duce, misteri del Portogallo! A Sintra non ho fatto tutti i castelli e tour dedicati, solo due siti (palaco della Pena e Quinta de Regaleira) ho camminato tanto e mi sono sfiancata. Ciò che mi ha distrutto sono state le salite e le scale: il Portogallo avrà il merito di procurarmi dei glutei marmorei ma anche degli infarti niente male, visto che ad ogni salita e/o rampa di scale ormai ho la tachicardia. Come avrà fatto questo popolo con la sua lentezza a vivere con questi dislivelli da montagne russe? Rimane un mistero che non spetta a me scoprire, a me interessava arrivare a Cascais per andare al mare e catturare un tramonto, nient'altro, quindi un bus (in orario) e via verso l'oceano. Nella passeggiata verso Boca do inferno (in salita, ovvio!) c'erano tanti angolini davvero deliziosi e in ognuno c'erano gruppetti di giovani donne e giovani uomini che facevano selfie o servizi fotografici che neanche Claudia Schiffer ai tempi d'oro. Non giudico chi si fa i selfie o ama farsi ritrarre ed esporsi: ciascuno è padrone del proprio corpo ed è libero di usarlo come gli pare, Donne e Uomini. Mi perplime però questa esagerata ostentazione e la ricerca dell'approvazione sociale. Mi spiego meglio: all'inizio della passeggiata a Cascais c'è un faro, carino, piccolo, si fanno delle belle foto. Sono scesa vicino alle rocce per poterne fare una decente perché una giovincella ha monopolizzato tutto il panorama salendo su una roccia e facendosi scattare millemila foto. Non scherzo: in tutte le pose più assurde e per una durata di tempo inestimabile, facevi in tempo ad andare verso gli scogli coi ragazzi che si facevano le canne, fartene un paio, tornare e lei era ancora lì, seriamente. A me non interessa farmi il selfie sulla roccia sfondo faro, ma magari alla fila di turisti educati che stavano aspettando che si levasse dalle gonadi per fare una foto, ecco magari loro un po' si sono scartavetrati i fagioli, ecco. Ma tant'è, questa è l'era social: ogni cosa deve essere condivisa e non basta più raccontarla con le parole, devi metterci la foto, la faccia, la posa, l'outfit, la pettinatura, l'accessorio e tutto quello che è necessario per dire "io ero qui". Comunque sono arrivata a Boca do inferno: trovo questo posto molto bello per via delle onde che col tempo hanno scavato la roccia, con pazienza e forza, fino a farne uno spettacolo. E anche qua era pieno di aspiranti fotomodelli dell'Instagram et simili: un gruppetto è andato nelle rocce dove c'erano i pescatori (presumo che faccia molto figo fotografarsi insieme a loro) ma una di loro (indossava le Birkenstock) ha preso un liscio pazzesco andando a sciare dentro una pozza d'acqua. Abbiamo riso tutti, ci scuserà. Io comunque ho pensato a godermi il tramonto, ed è stato possibile finché non è arrivato un altro modello social. Anche questo era andato giù dai pescatori e infine è salito nella terrazza, dove noi comuni mortali aspettavamo che l'ultima goccia di sole si sciogliesse nell'oceano. Forse per timore reverenziale, appena è arrivato tutti si sono tolti dalla ringhiera lasciandogli mezza terrazza per fare la foto. Passano i minuti e un po' la gente si frantuma le ovaie: tutti sono lì per godersi un tramonto in santa pace, appoggiati ad una ringhiera, col rumore delle onde in sottofondo, e invece no, perché questo si mette a cavalcioni, e con le gambe a penzoloni, e di profilo, e col polpaccio in vista, e senza camicia e con ANCHE BASTA! Mi sono ampiamente fracassata la milza e vado a godermi il tramonto dal punto migliore della terrazza che (toh!) è proprio a fianco a MisterBermudaInguinale il quale mi guarda schifato e va via con buona pace di tutti. E scusami caro ragazzo con i capelli alla Cristiano Ronaldo se ti ho rovinato l'ultima foto: c'era un gabbiano che volava per me, ed io non potevo che fargli una foto. 

mercoledì 26 febbraio 2020

Il fuso orario di Lisbona

Quando uno arriva a Lisbona deve lasciare a casa la fretta, la puntualità e tutto ciò che è il comune senso degli orari. Da quando sono in Portogallo ho sempre avuto la colazione molto tardi per i miei standard. Ieri, prima di andare a dormire ho posto al ragazzo della reception la fatidica domanda "a che ora servite la colazione?". In maniera compassata mi risponde che nel loro hotel servivano la colazione "molto presto". Sono inorridita e ho pensato di dovermi alzare alle 5 del mattino per mangiare due fette biscottate e un tea caldo. Ma lui ha precisato "dalle 7 del mattino alle 10". Ho riso appena sono entrata in ascensore: nel fuso orario di Lisbona le 7 del mattino corrisponde a "molto presto". Sono uscita intorno alle 9:00 e ho pensato di andare a vedere un negozio che volevo vedere da molto tempo e casualmente è a due passi dal mio hotel: orario di apertura 10:30. Va bene, passo e giro la ruota, saliamo sul tram 28 e facciamo un giro. Mi perdo la fermata perché stavo sonnecchiando, perciò faccio due volte l'intera corsa: uno spreco di tempo? No, mi sono goduta la strada, i vicoli dell'Alfama, le facce della gente, le donne con i sacchetti della spesa che vedevo dal finestrino di quel ferro vecchio che ancora si ostina ad arrampicarsi sulle rotaie. Ormai non bado più agli orari, il tempo qua è una linea lenta e al massimo puoi guardarlo dall'alto: puoi vederlo scorrere senza troppo rumore. Qua il tempo è così: una ragnatela che ti avvolge e ti trattiene affinché tu possa godere delle cose, di un tramonto, di una via sperduta o semplicemente di una risata con uno sconosciuto. Ed è inutile agitarsi perché si rimane intrappolati da questa splendida indolenza che ti costringe a sederti anche se non sei stanca. 

martedì 25 febbraio 2020

Lisbona e l'oceano.

Oggi ho riconsegnato la macchina, il viaggio on the road si è concluso a Lisbona. Prima però sono andata a salutare l'oceano, e l'ho fatto andando a Cabo da Roca, quello che è il punto più occidentale del continente europeo. Mio nonno un giorno mi sentì ripetere la paginetta di geografia: era il capitolo su mari, oceani, fiumi, etc. Quando finii di ripetere l'oceano mi chiese "cos'è l'oceano?". Le parole dei libri non avevano presa su mio nonno, uomo semplice per il quale il mondo si riduceva al suo gregge e all'orto. Evitai di ripetere la pappardella e gli dissi "è come il mare, però più grande", mi guardo e con sospetto chiese ancora "grande quanto?". Non seppi rispondere perché per lui il mare si riduceva alla spiaggia de La Cinta a San Teodoro, e già quello era gigantesco per lui. Oggi avrei voluto che fosse con me a Cabo da Roca affinché capisse cosa è davvero l'oceano, quanto è grande e quanto noi siamo piccoli. Credo gli sarebbe piaciuto. Ho riconsegnato la macchina perché da adesso mi serviranno solo i miei piedi e le mie scarpe consumate. Sono a Lisbona ed io amo questa città, non ho bisogno dell'auto, mi serve solo stare a guardare la vita che scorre lenta e ti regala piccoli miracoli, come una salita da affrontare e un piccolo trabiccolo che ti porta in cima. Sono a Lisbona e di questa città mi sono innamorata 4 anni fa, e oggi la sto vivendo con occhi diversi. Oggi cammino su queste strade ripode e mi sento davvero IO, con questo sorriso sulle labbra che ormai è una paralisi, con la voglia di camminare senza una meta e la voglia sollevare un bicchiere di Ginjia e brindare alla Vita. 

lunedì 24 febbraio 2020

Coimbra, fra libri e virus.

Stamane ho lasciato Porto, meravigliosa città scoscesa, che sia in salita o in discesa è solo una questione di prospettiva, ma è così: inclinata verso la Vita. Non mi curo delle notizie quando sono in viaggio, solo il minimo indispensabile, ma di fatto le mie amate colleghe di buon'ora mi hanno informato tramite messaggi WhatsApp di scene apocalittiche a causa del Carogna Virus. Ora ragazzi, io ho già annullato un viaggio in Thailandia perché la mia compagna di viaggio aveva la febbre, ci manca solo che adesso mi blocchino all'ingresso in Italia perché il Virus alloggia nello stivale. Ma fa niente, io sono in Portogallo che ancora non ha neanche un caso accertato di Carogna Virus. Già stamane però mi puzzava: la tipa della colazione chiede se eravamo "afraid" di tornare in Italia. Premessa: parlava l'inglese come io parlo l'Aramaico. Rispondiamo che si, spiace perché il Portogallo è bellissimo, finiscono ferie, si torna a lavoro, etc. Ma lei no, mi dice "no...it's for Corona Virus!...paura?". Ah. Cioè ci stava chiedendo se avevamo paura di tornare in Italia per il virus. Rispondiamo "no no, tutto ok!". Ci chiede se abitiamo lontano dalla zona contaminata, si si lontanissimo, ah per fortuna dice lei! Evitiamo di dire che abitiamo in Piemonte, via, si riparte! Arrivo a Coimbra che mi riporta indietro nel tempo, con tutto il suo sapore accademico, con gli studenti che brulicano per strada, uomini di domani che proveranno a rendere il mondo migliore. Ci fermiamo a mangiare qualcosa, nella TV c'è un TG portoghese: 40 minuti che parlano del Corona Virus in Italia: immagini di piazza Duomo vuota (ma veramente???), scaffali, etc. Interviste con i sottotitoli a persone per strada per saggiare l'umore della gente...alla cassa ci chiedono se siamo italiane, si si siamo italiane, con sguardo triste ci dice "c'è il Corona virus...un altro morto", lo dice con tenerezza e dispiacere, senza pregiudizio o paura. 
Usciamo e si sale su, in quelle strade che sanno di cose perse e orologi fermi e da lassù in cima ti rendi conto di quanto è bello studiare, di come i libri cambino il tuo modo di pensare, ti entrano dentro e spazzano via tutte le tue convinzioni. Sono entrata nella biblioteca Joanina ed ho pensato che il sapere è prezioso e bello, e va conservato e curato come tutte le cose straordinarie. Questa città è viva, con questi giovani meravigliosi che hanno speranze e ideali per il futuro, hanno ancora tutta la poesia che noi abbiamo perso. E noi chissà quante cose ci perderemo ancora per paura di sbagliare. 

domenica 23 febbraio 2020

Facciamo due scale insieme?

Mi sono fermata a Porto, in questa città a picco sul fiume, divisa in due dall'acqua ma unita da un ponte. Perché anche nella vita funziona così: alcune cose nascono separate e dovremmo essere noi a incollare ciò che è separato. 
L'ho attraversata tutta, finendo negli angoli nascosti di questa città di pescatori e vino. È ovvio che bisogna avere dei polpacci ben temprati per salire sul ponte Luiz e godersi il panorama dall'alto, magari una striscia di tramonto e della musica che non sai da dove arriva, ma l'importante è che arrivi, magari la senti solo tu, che importa. E passi all'altra riva fra le cantine del vino porto, e per me che sono astemia non dovrebbe essere allettante. E invece no: ho preso un bicchiere di vino e ho guardato la Ribera dall'altro lato del fiume, ho brindato alla Vita e ho sorriso. Bisognerebbe vivere così: salire fino in cima e godere del panorama, sorridere e condividere con chi ti sta a fianco un bicchiere, un sorriso e uno scatto da ricordare.
 E poi scendere giù, perché la Vita necessita anche di discese per essere apprezzata. Lentamente attraversi le viuzze e cerchi di tornare nella tua stanza, con i piedi che somigliano ad un filetto al pepe verde, e non vedi l'ora di stramazzare sul letto, ti trascini a stenti...e ti ricordi che la tua stanza è raggiungibile dopo una rampa di scale ripida quando il parabrezza di uno Scania. E no, non c'è ascensore, questo sconosciuto. 
E forse quel vino porto non è stata una buona idea, proprio perché sei astemia e ora senti nelle orecchie tutto il traffico aereo di Malpensa e Fiumicino insieme. E ora penso: è disdicevole dormire sulle scale?! Saranno comode?! Alla salute ragazzi, e brindiamo finché abbiamo la forza di sorridere anche di fronte a una salita. 

sabato 22 febbraio 2020

La lenta colazione portoghese

Con mio grande rammarico stamane la colazione veniva servita dopo le 8:00 e per me che mi sveglio alle 6:00 non è bello. Ho approfittato per studiare l'itinerario di oggi, contare le frange del tappeto della camera e fare bolle di sapone col bagno schiuma fornito dalla struttura. Però alle 8:00 che gran soddisfazione! Una signora mamma style, con tutta la calma dell'universo mondo, spadellava pancake caldi e fette di pane passate nell'uovo, fritte e coperte di zucchero e cannella. Sublime, davvero, tanto che all'ora di pranzo non ho minimamente sentito il bisogno di pranzare. Credo che abitualmente la signora cucini per la nazionale di rugby dei camionisti, altrimenti non si spiega. Terminato questo pasto leggerissimo, ci dirigiamo verso Costa Nova e Barra. Mi sono persa fra le case a strisce colorate: si chiamano Palheiros e un tempo erano dei magazzini dove i pescatori mettevano i loro attrezzi. Nel mio immaginario le casette a strisce sono rivendite di gelati risalenti agli anni 50/60, pertanto pensavo di essere nel mondo di Frozen e invece dopo essermi ripresa dallo scompenso, mi sono ritrovata a passeggiare fra il mare e i Palheiros, a sorridere di questo posto che sembra uscito dal mondo delle favole. Dalla parte opposta c'è il faro di Barra ma io sono andata a vedere i surfisti: starei ore a guardarli galleggiare sul mare, aspettando pazientemente l'onda giusta sulla quale volare. Per me sono esseri mitologici che hanno qualcosa di eroico nelle vene, li guardo affascinata e penso che io ho paura di annegare anche a Stintino a pochi metri dalla spiaggia.Ci siamo rimesse in macchina per raggiungere Porto. Dopo la pace dei paesini portoghesi mi sono ritrovata nella bolgia vivace e colorata del fine settimana di Porto. All'arrivo abbiamo fatto il check in e la signora ha chiesto per che ora volevamo la colazione. Ho pensato: finalmente una disposta a soddisfare le mie richieste! Ho esitato, ho pensato che domani e domenica e le ho voluto bene dicendo "va bene alle 8:00?". Volevo dire alle 7:30 ma non ho osato. La signora solleva lo sguardo come se le avessi detto che volevo un mammut per colazione, mi guarda e col ditino fa "no no no" e aggiunge "domani è domenica...possiamo fare fra le 9:00 e le 9:30...". Ho detto "ok, va bene" pensando che in camera c'era un guanciale in più da smembrare: potrò fare dei fantastici pallini con la loro imbottitura, contarli e metterli in ordine di grandezza. Una figata. Questo però domani: ora ho da brindare guardando la vita che scorre davanti al Douro.

venerdì 21 febbraio 2020

Coast to coast fino a Venezia. O forse no.

I viaggi sono un po' come la vita: si va avanti cercando di cogliere il meglio, consapevoli di perdere qualcosa nel tragitto e con la speranza di tenersi strette le cose che si hanno. Stamattina ho lasciato Óbidos, piccolo posto incantato, con le lancette del tempo spezzate e l'odore di Ginjia. Ho fatto la strada statale, partendo dalla costa e precisamente da Peniche, proseguendo per Baleal e avanti per tutta la costa. Mi affascina l'oceano, quelle onde gigantesche e impetuose, coi surfisti che le rincorrono e che si buttano dentro come pesci mancati. Io rimango a riva, li guardo ammirata e sorrido di me stessa e delle mie paure. A Cabo Carvoeiro mi sono fermata a guardare le falesie che spuntavano dal mare come fiori, ho passeggiato lasciando che il vento si portasse via tutto ciò che avevo. In verità pensavo mi portasse via anche il piloro e il colore dei capelli ma ora mi rendo conto che sono intatta. Anche stamattina ho sbagliato scarpe: avevo intenzione di fare una passeggiata semplice e ho messo le scarpe da running, ovviamente mi sono ritrovata su sentieri di sassi scoscesi e ripidi, e mentre ho rischiato di prendere una decina di culate pensavo a quanto sono belle quelle scarpe da trekking chiuse dentro la valigia, là in macchina. Ho proseguito e sono arrivata ad Aveiro e mi fermo qua questa notte. Non vorrei destare le ire dei connazionali ma Aveiro è definita "la Venezia del Portogallo". Ora, è risaputo che i portoghesi hanno molta fantasia e sono dei burloni, di fatto Aveiro è una bellissima città ma fra lei e Venezia c'è una distanza siderale quanto quella esistente fra un dromedario del Sahara e una tricheco della Groenlandia. Ma è una bella città dove si mangia divinamente, la gente è sorridente e al centro di essa c'è un corso d'acqua dove galleggiano delle imbarcazioni simili alle gondole ma a motore. Non m'importa del paragone sfortunato, mi basta averla vista alla luce del tramonto e aver camminato sorridendo insieme alla mia compagna di viaggio. Perché questa è la vita: delle cose che hai perso ne conservi il ricordo come un tesoro, di quelle che hai a fianco e fra le mani ne fai la tua ricchezza. 

giovedì 20 febbraio 2020

Un pezzo di viaggio con un amico

Mi hanno sempre affascinato le città portuali per il loro via vai, quel loro caos di navi e piscio, e per quel loro essere proiettate verso la modernità lasciando spazio ai vicoli stretti e corrosi dalla salsedine. Ho attraversato l'Alentejo e ho fatto tappa a Setúbal perché il suo essere appendice di Lisbona ma al tempo stesso penisola e porto di mare, me lo hanno fatto sembrare uno di quei posti di passaggio talmente incasinati da rimanere confusi e sorridenti.Sono arrivata al tramonto e ho deciso di andare verso il porto, fermandomi in un posto poco raccomandabile per la cena. Da fuori poteva sembrare una mensa per pescatori o portuali, e forse lo era. Di fatto con la mia compagna di viaggio ordiniamo un arroz de marisco da dividerci e a seguire per me dei gamberi con fagioli e per lei una cataplana di vongole. Abbiamo fatto questo genere di ordinazione scordandoci che eravamo in un posto dove venivano a mangiare i lavoratori e non quelli di via Condotti, pertanto l'arroz de marisco era una pentola di acciaio con dentro una quantità di pesce e riso da poter sfamare una classe di scuola elementare. Ho pensato che la cameriera avesse capito male il mio pessimo inglese e ne avesse portato due porzioni, poco male ho pensato, tanto è buono e lo si mangia lo stesso! Invece no, era una porzione, e me ne sono resa conto quando sono arrivati gli altri due piatti: ci poteva mangiare l'intera scuola elementare di cui sopra, e avrebbero mangiato benissimo peraltro. Con birra e acqua abbiamo pagato 32 euro, stavo per svenire. Sono andata a dormire che pensavo di esplodere ma invece no, ho dormito da Dio.
Stamane sono ripartita alla volta di Óbidos. Durante il tragitto ho saputo che è morto Max. Per chi frequenta Twitter era IstintoMaximo, quello che raccontava prima i sentimenti e poi la sua malattia. Per me era solo un ragazzo che credevo ci sarebbe sempre stato, lui, le sue parole, l'amore per la nostra Sardegna e il suo sorriso. È andato via lottando contro il cancro, come mio fratello, come tanti ragazzi, tutti dei coraggiosi leoni che fino alla fine non si arrendono. E vanno via con una dignità che non ha eguali. Così sono arrivata a Óbidos portandomi dietro Max, gli ho mostrato questi vicoli di Ginjia e pietra, gli sarebbero piaciuti credo. Poi ho pensato di sedermi su una panchina a fare 2 chiacchiere con lui. C'era un gatto sornione e dolce. Ci siamo fatti compagnia.
Buon viaggio Max. E fortza paris.

mercoledì 19 febbraio 2020

Come le rocce dell'Algarve

Ho lasciato l'Algarve dopo pranzo e l'ho lasciata con molta resistenza: la maestosità delle sue onde, le rocce ruvide e le falesie che si stagliano all'orizzonte mi hanno fatto emozionare. Stamane dopo Ponta da Piedade sono andata ad Algar Seco: mi sono persa in quei canyon bruciati dal sole, levigati dal vento e consumati dalle onde e dal sale. Possiamo tralasciare il fatto che ci sono andata con le scarpe da running e che ho rischiato di scivolare ad ogni metro, ma non importa, ce l'ho fatta e questo mi basta. L'Algarve mi ha fatto sentire minuscola, ne sono uscita ridimensionata e forte. Non che prima mi sentissi un gigante eh, chiariamo: sono alta un metro e mezzo e peso 50 kg, pertanto non ho mai svettato nella fila del refettorio. Ma non parlo di questo: tutta quella forza, quell'irruenza delle maree, le rocce consumate, friabili all'apparenza eppure forti che sembra possano sorreggere il peso del mondo intero, mi hanno fatto sentire un puntino minuscolo e tutti i miei punti interrogativi che avevo coltivato nella mia testa sono stati spazzati via da un'onda qualsiasi. Ho preso la macchina e ho puntato verso Nord, e attraversando l'Alentejo pensavo che alle mie spalle lasciavo l'Algarve, e a quel posto io devo questo sorriso e questa forza: in fondo anche la più piccola di quelle rocce resiste da secoli alla potenza distruttiva delle maree e agli schiaffi violenti del vento.
Anch'io. 

Una camera a sorpresa in Lagos

Questa la devo raccontare. Ieri non ero pronta per lasciare l'Argave e il suo oceano, e peraltro mi sono ricordata che ho saltato Algar Seco, pertanto decido di alloggiare a Lagos. Ho fatto una ricerca un po' superficiale, poche pretese: colazione inclusa e parcheggio. Mi viene fuori questa offerta, occasione imperdibile, affare del giorno o del secolo: € 31 perché sono Genius, sia mai. Non mi fido e faccio un controllo incrociato su TripAdvisor...caspiterina! Voto: 4,5 ok mi hai convinto Booking! Scrivo una mail per chiedere dove parcheggiare, nessuna risposta. Chiamo quando sono a pochi Km da Lagos, nessuna risposta. Arrivo a Lagos, vado a cercare questa benedetta stanza, la trovo, suono e...dal citofono parte il segnale libero di una telefonata. Arriva questa voce da uomo sornione, mi chiede cosa desidero. Ciao uomo, vorrei la mia stanza, ma no, dice che lui non ha nessuna prenotazione. No uomo, io ho la conferma della prenotazione, ho qua la mail, ti ho scritto, ti ho chiamato e ti ho stalkerizzato, fai tu! Mi dice: 5 minuti che check in my computer e tuu...tuu...tuu chiude tutte. Rimango davanti alla porta e non so che fare, fumo una sigaretta, controllo su TripAdvisor e...si, aveva 4,5 ma con 11 recensioni dal 2015 ad oggi, ossia quelle della madre, figlia, zia, nipote, etc. Dopo 5 minuti suono al citofono, parte la chiamata: l'uomo risponde e mi chiede cosa voglio. Cosa voglio??? Non so, sono qua che aspettavo! Mi chiede chi sono...mantengo la calma e gli ricordo chi sono. Mi dice: ok, hai la tua camera, ti apro la porta, la prima porta a sinistra sul corridoio è la tua stanza, trovi le chiavi sul letto, obrigado tuu-tuu-tuu. La porta si apre come per incanto, avanzo con cautela perché questa cosa che mi aprono la porta a distanza e mi parlano dall'aldilà non mi convince...ma sbaglio, trovo la camera, bella e pulita: non è una camera da 30 euro, e si, era un affare. Arriva una mail: è l'uomo che evidentemente ha acceso il computer e mi dice dove devo parcheggiare: in Bairro NonSoCosa, due minuti a piedi. Apro maps: è vero, la via esiste, c'è un parcheggio ma fra la mia stanza è il parcheggio c'è un vuoto, cosa sarà? Lo scoprirò presto, si va a Bairro NonSoCosa e...è il parcheggio del cimitero. Ok, fa niente, non ho paura dei morti ma di qualche vivo. Lo spazio nel niente è semplicemente una spianata di terra battuta dove la fauna locale fa scambio di merce buona, spero per loro che abbiano una buona vita! Torno in camera, sul letto trovo un foglio con scritto che serviranno la colazione alle 8:45. Eeeeehhhhh??? Ma io mi sveglio alle sei del mattino! Mando una mail visto che ora l'uomo ha acceso il computer: ciao uomo, posso avere la colazione alle 8:00. Nessuna risposta. Stamane mi sveglio alle 6:00, letto comodo, doccia splendida, bagno pulito e santificato, e alle 8:45 arriva una signorina che si scusa: il pane caldo e i dolci arrivano fra poco. Morale: faccio colazione alle 9:00 (buona) e la ragazza mi dice di andare a Ponta do piedade che è muy bonito. Pago ed esco. Si, era davvero muy bonito e in fondo l'uomo non era poi malvagio: non fosse per lui avrei passato una notte in un qualunque hotel, senza niente da raccontare. 

martedì 18 febbraio 2020

L'oceano da mangiare.

Stamattina mi sono svegliata alle 5:00, e di come io riesca ad alzarmi all'alba quando sono in ferie mentre quando vado a lavoro non mi sveglia neanche il traffico aereo di Sigonella, rimane un mistero che solo Giacobbo sa. E rimane un mistero insoluto anche il fatto che quando sono in ferie faccio colazione come un brontosauro mentre a casa esco con mezzo sorso d'acqua e uno snack in tasca. Comunque subito dopo aver mangiato una carriola di cibo, mi sono lasciata alle spalle Faro per arrivare a Lagoa dove ho preso un motoscafo per vedere quella parte di costa da un'altra angolazione. Mai scelta fu più azzeccata: mi sono riempita di mare, salsedine, grandezza, colore, sole e immensità.
 Ho scattato centinaia di foto ma mi sembravano sempre poche, pertanto quando sono tornata a riva ho fatto il percorso a ritroso...ma a piedi.
 E son rimasta senza fiato, eh no, non per la lunghissima passeggiata ma perché l'orizzonte era puro ed elegante come una regina d'altri tempi, maestoso e avvolgente come una coperta che scalda il mondo intero. 
Sono risalita in auto e ho inseguito la costa fino ad arrivare a Cabo Sao Vicente, il punto più a Sud del continente europeo. E davanti a quel faro, col rumore delle onde che copriva ogni altra cosa, sono rimasta senza parole: il vento me le portava via, insieme ai pensieri e a qualche dolore. E mi sono accorta che erano le 18:00 e ancora non avevo pranzato ma non avevo fame: l'oceano mi aveva saziato con i suoi colori e la sua musica che ancora mi tuona dentro. E lo sento ancora che mi culla in questo pezzo di mondo consumato dal vento e dall'acqua. 

lunedì 17 febbraio 2020

Ritrovarsi in Portogallo quasi per caso

Come può succedere che uno prepara tutto nei minimi dettagli per andare in Thailandia e si ritrova in Portogallo? Può succedere se decidi di viaggiare ai tempi del Carogna Virus! In breve: la mia compagna di viaggio prende la bronchite febbrile a 2 giorni dalla partenza in Thailandia, giusto quando il governo thailandese ha deciso di misurare la febbre anche ai moscerini che entrano nel loro suolo. Ergo, per non rischiare la quarantena in qualche hangar dell'aeroporto, abbiamo annullato il viaggio. Finiti gli antibiotici è finita la febbre, e decidiamo di partire...nel giro di 24 ore. Stamane all'alba siamo partite per un viaggio di 12 giorni in Portogallo, senza programmare NIENTE: mai scelta fu più azzeccata!! Arrivo all'aeroporto di Faro, in Algarve, noleggio un'auto e via, on the raod. Anzitutto ho fatto un giretto a Faro e mi accorgo che ci sono più italiani qua che a Pontida: in ogni angolo c'è qualcuno che parla italiano, mi rendo conto però che sono tutti di una certa. Come si spiega questo fenomeno? Dopo infinite ricerche (in realtà un italiano incontrato in aeroporto) mi rendo conto che qua è pieno di pensionati italiani che vengono a godersi la pensione sulle rive dell'Oceano. Motivo: ricevono la pensione italiana e non pagano le tasse. Ci sono anche delle agenzie italiane che si occupano di questo, insomma è un business. A venire qua in genere non è l'operaio con una pensione miserabile ma coloro che ricevono una buona pensione. Mentre li guardavo mi sono venuti in mente i versi del buon Guccini "e andate chissà dove per non pagar le tasse col ghigno e l'ignoranza dei primi della classe", ma tant'è: sono vecchietti abbronzati che si godono la vita, ad maiora! Sono andata fino ad Olhão dove ancora le persone giocano a carte e a bocce per strada a pochi metri dal mercato del pesce, ho fotografato le barche sotto una bella luce, ho passeggiato nei vicoli e poi sono rientrata a Faro. 
Mi sono persa nel tramonto di questa città che sa di gente di passaggio e pesce fritto; ho cenato in una Tasca che sapeva di buono e famiglia; ho passeggiato fra i tavolini all'aperto, fra musica delicata e bicchieri di vinho verde e infine sono tornata in hotel.
 Domani si riparte ma io so già cosa mi porterò dietro: il volto bruciato dal sole del pescatore di Olhão che guardava i passanti con tenerezza, ché di quella fretta lui non sapeva che farsene. Ed io neanche: qua c'è tempo per tutto, anche per sorridere delle miserie e delle vittorie effimere. 

domenica 9 febbraio 2020

La sagra delle mascherine.

Per la prima volta nella mia vita ho programmato un viaggio con largo anticipo: a settembre 2019 ho prenotato un volo per la Thailandia. Prima del 23 gennaio ho persino prenotato un volo interno da Chiang Mai alle Phi Phi Island, con tanto di trasporto via mare verso le famose isole. E ho anche prenotato un hotel in NonSoDove, comunque una località meravigliosa dove avrei dovuto passare due notti. Ecco, sicuramente ho risparmiato abbastanza ma forse forse...no. Perché ovviamente a fine gennaio doveva esplodere questa tragedia mondiale del Coronavirus. Sono sempre stata molto fatalista, e lo sono ancora: potrei morire domani mentre vado a lavoro o campare fino a cent'anni, ma tutto ciò non posso programmarlo né prevenirlo. Sono però consapevole che viaggiare in questo periodo non è proprio una passeggiata a Villa Pamphili. Pertanto da fine gennaio ho cominciato a documentarmi su questo Carogna Virus: ormai apro le pagine dell'OMS e della Farnesina con più frequenza del cassetto delle mutande. Con l'esplodere di questa psicosi mi sono documentata sulle mascherine ffp1, ffp2, ffp3 e ffpfanculo4 che potrei esporre una tesi sull'argomento, certa di ricevere anche un bacio accademico. Riguardo il gel a base alcolica per le mani ormai conosco tutto, anche il fatto che acqua e sapone sono più efficaci. E poi ho fatto una stupidaggine epica: ho sbirciato qualche pagina dei social network sull'argomento. Ecco, quando un velo impalpabile d'ansia ricopre i tuoi pensieri, mai, e dico MAI, andare a leggere Facebook, Twitter o simili: ti danno la spinta necessaria per buttarti da un dirupo. Dopo qualche ora di lettura su Facebook sono uscita di casa anzitutto con un senso di nausea profondo più della Fossa delle Marianne, e anche con l'indirizzo di tutte le ferramenta della zona. Sono rientrata con una scorta di mascherine da far invidia agli operatori che smaltiscono l'amianto, ma soprattutto con il borsellino più leggero, come se avessi acquistato una partita di diamanti.
Quando ho cominciato a pensare all'utilità di una tuta da astronauta a tenuta stagna mi sono fermata e ho pensato che forse non era il caso di fare questo investimento. Mi sono posta la domanda: partire o non partire? Ho concluso che il 14 febbraio partirò comunque, con la mia scorta di mascherine, gel per me le mani, sapone, salviette, guanti e la macchina fotografica. Ho pensato che la maggior parte dei miei amici sono morti di incidente stradale ma ciò non mi impedisce di usare l'automobile, semplicemente uso più prudenza, anche se questo non mi preserva da un pazzo che viene contromano. Ho pensato di poter usare la stessa prudenza anche in questo viaggio, che no, non mi garantisce l'immunità dal Carogna Virus, ma almeno mi consentirà di volare verso un luogo sconosciuto, di scoprire orizzonti nuovi e catturare foto e sorrisi...nascosti dietro la mascherina. E questa voglia è più forte della mia paura del contagio. Confido nel fatto che sarei poco gradita anche all'inferno, quindi comprerò anche un paracadute: che almeno la discesa sia lenta e possa godermi il panorama!
PS: qualcuno di voi ha mica una maschera GP-5? Quella antigas russa per intenderci...perché quella mi manca per completare la collezione!