I soldi che se ne ricavano in un anno di affitto sono irrisori, nessuno di noi ha bisogno di quelle poche monete quindi hanno deciso che con quei soldi si fa "S'elemusina" dei miei nonni e la distribuiscono a tutta la famiglia e agli amici stretti affinché possano essere ricordati. Non siamo pochi in famiglia visto che mia nonna ha partorito 12 figli e che i miei cugini di primo grado da parte di mio padre ammontano a 36, i quali hanno generato un numero impressionante di figli che sono tutti miei nipoti (credo una cinquantina). Quindi oggi un paio di cugini/e si sono occupati della distribuzione del cibo, de S'elemusina, un po' come se i miei nonni ci avessero mandato un regalo. Sul tavolo di casa è arrivato un sacchetto con una confezione di caffè e una di zucchero, una confezione di biscotti e due corone di pane. Sono atea e non bado molto alle radici cattoliche di questa tradizione, apprezzo però la valenza umana di questo gesto: oggi vado a pranzo dai miei nonni. Oggi sul tavolo c'è il pane che abitualmente faceva mia nonna: il ricordo più vivo che ho di lei la ritrae mentre impasta il pane, lei che era così piccola e stava su uno sgabello di legno per arrivare al tavolo e riuscire a domare quella montagna di morbida fragranza. E mi chiedeva di aspettare, ché per me c'era sempre qualcosa di buono, io che ero "s'alipedde mia!", il mio pipistrello, sempre svolazzante sulla testa di tutti.
Oggi sul tavolo ci sono i "vizi" che mi regalava nonno, lui e le sue mane screpolate, callose e deformate dal lavoro della terra, che frugavano le tasche per cercare le monetine, le metteva sul mio palmo e "vai a comprarti un vizio!", "unu vìsciu" in sardo: caramelle, biscotti e cose che per lui erano sconosciute, ma noi eravamo bambini e a noi dava ciò che lui non aveva mai potuto avere da bambino.
Ecco, sono queste le mie radici, quelle che mi porto dietro in ogni angolo di mondo che calpesto. Sono quelle che non dimenticano e che si nutrono di riconoscenza, me le hanno regalate delle persone semplici, come i miei nonni, che non avevano mai ricevuto carezze e vizi nella loro infanzia ma hanno imparato a riceverle e a darle da quella mandria di nipoti che invadevano quotidianamente la loro casa. Le mie radici sono quelle che mi ha regalato mia madre, piccola e curva sul suo uncinetto, a tessere trame e storie per coprire le brutture del mondo, e quelle di mio padre, figlio fragile che finge di essere forgiato d'acciaio. Sono le radici della mia terra, Madre che mi ha lasciato andar via consapevole di avermi donato il meglio di sé: il bisogno di ritornare sempre nel suo grembo, quella dipendenza calda e pulita dai colori del suo mare, dal profumo di cisto e ginepro, dalle mani consumate di mia madre, dal suono della lingua sarda e dal sapore di questo pane, l'unico che riesce a commuovermi e saziarmi.
Mi sono sentita a casa, nella tua casa così calda, accogliente e profumata.
RispondiEliminaGrazie.
dolly