domenica 29 marzo 2020

La filosofia della lumaca

La frase che più mi son sentita urlare dietro da mia madre è stata "NON USCIREEE!", il tormentone dei miei timpani fino ai 21 anni. Poi andai via di casa e mia madre capì che ero diversa, che suo malgrado avrei viaggiato tanto e che non sarei più tornata a vivere stabilmente con loro. Col tempo ho sviluppato una passione sfrenata per i viaggi, ho traslocato 28 volte e vissuto in 12 città diverse sparse in tutta Italia.

Lei invece vive la casa come fosse il suo carapace, il suo guscio protettivo e fuori da quelle mura non trova alcuna protezione. L'invito "restate a casa" per evitare il contagio da COVID-19 su di lei trova il destinatario ideale: è quello che ha sempre fatto, lei che non ha potuto prendere la patente, che varca il confine di quel paesino solo per andare in cimitero a portare i fiori sulla tomba di mio fratello. Non le pesa stare a casa, rannicchiata su quella seggiolina a intrecciare i fili all'uncinetto come fossero le trame delle nostre vite. 
Ma ha paura. Lei è il mio termometro, dalla sua preoccupazione capisco la gravità di un fatto, dal suo sorriso capisco la leggerezza di un evento o di un discorso. La sento tutti i giorni: ha paura e io non sono abituata a sentirla così, lei che si è piegata solo davanti alla morte del figlio. La sua paura è diventata anche la mia e onestamente non riesco a gestirla. Per lei sapermi in Piemonte, al Nord, in questo preciso momento storico, è come sapermi al fronte di una guerra dove io sono un soldatino di un metro e mezzo contro un gigante spietato che si chiama COVID-19. Non serve rassicurarla che sto facendo smart-working, che esco una volta la settimana per fare la spesa e indosso guanti, mascherina e una tuta spaziale. Per lei uscire dalla Sardegna è già un pericolo, quell'isola per lei è l'unico mondo possibile dove poter vivere serenamente. Quando lasciai la Sardegna per lavorare altrove, lei lo ha vissuto come un suo personale fallimento mentre per me è stata la sua grande vittoria: aver cresciuto una figlia lasciandole la Libertà che lei non ha mai avuto. 
Nonostante la sua paura per me, io invece ho il terrore che quei due vecchi, soli in quella casa troppo grande e in quel paese troppo piccolo, possano fare qualche leggerezza, non aver compreso le restrizioni, che facciano entrare qualcuno in casa e mille altre paure che non riesco a togliermi dalla testa. La verità è che siamo tutti impotenti, impauriti e devastati da questa guerra impari che sta spezzando vite a si sta prendendo la nostra serenità. La distanza da chi vogliamo bene alimenta le nostre paure e la nostra impotenza. Spesso pensando a mia madre ho pianto nel saperla in quella casa, senza la libertà di spostarsi, in quel paesino di 300 anime dove siamo tutti parenti e amici, avrei voluto portarla con me a vedere il mondo che lei ha letto solo sui libri. Ma oggi sono contenta che lei sia una lumaca ben protetta dal suo guscio, sperando che il suo carapace sappia proteggerla più di come riesca a fare io. E soprattutto che sappia custodirla con quella sua razionalità disarmante, quella che quando la chiamo e le chiedo "NON RISPONDEVI! DOV'ERI??? SEI USCITA! LO SAPEVO! CHI HAI INCONTRATOOOO??", lei sappia sempre rispondere "ero in azienda, ho incontrato le pecore: ti salutano e dicono che andrà tutto beeeee" 

giovedì 19 marzo 2020

Un compleanno di assenze

Esattamente 8 anni fa, giorno del mio 40esimo compleanno, ricevetti la telefonata di mio fratello per gli auguri "e allora? Che fai? Festa grande? Esci?". Non sono mai stata avvezza a feste e party, ancor meno se al centro ci sono io, pertanto risposi evasivamente ricevendo una sfuriata colossale da parte di Jons. Mi suggerì, molto caldamente (diciamo che era incazzato!), di andare a vedere qualcosa di nuovo, un viaggio, una foto ad un paesaggio che non avevo mai visto, insomma, di farmi un regalo per il mio compleanno. E fu così che decisi che ad ogni mio compleanno avrei festeggiato con un viaggio, anche se avevo pochi soldi, infatti quell'anno andai a Bracciano, a pochi passi da Roma, dove abitavo. Feci anche delle belle foto nei vicoli, fuori dalla folla.
 
Ho sempre rispettato questa tradizione ma ovviamente doveva arrivare il Coronavirus per farmi tornare sui miei passi. Non mi mancano i festeggiamenti perché non ne ho mai fatto, ancor meno per il mio compleanno, non mi manca spegnere le candeline con il coro in sottofondo perché è successo solo una volta in 48 anni. Non mi manca neanche il mio solito viaggio perché sono tornata da poco dal Portogallo e no, non mi manca fare quel viaggio che ha sempre avuto la caratteristica di una promessa. A mancarmi è la serenità per festeggiare. Penso a tutta questa situazione surreale, alle bare che scorrono, a tutti i lavoratori che rischiano ogni giorno di ammalarsi, al personale medico stremato, e no, non ho alcun motivo per festeggiare. Divido la mia casa con una collega, e oltre al lavoro divido con lei il frigo, i viaggi, il divano e il bagno schiuma. Lei deve andare a lavorare, e con lei delle altre colleghe. Ho preso l'abitudine di mandar loro la colazione, mi illudo di poter alleggerire per qualche secondo la loro giornata.

Oggi ho inviato loro una piccola torta. Loro mi hanno mandato un regalo: un sacchetto con delle piccole cose che avevano in ufficio, ché non è tempo di regali questo, ma mi hanno strappato un sorriso e in questo periodo è il regalo più bello. 

Mi è mancata la leggerezza delle telefonate con gli amici: con loro ho parlato della salute, non del mio compleanno. Mi è mancata la "lotta" con i miei genitori: ogni anno la diatriba era su chi doveva fare per primo gli auguri, io a mio padre per la festa del papà, o lui a me per il mio compleanno? Ho sempre vinto io e la prima telefonata che ricevevo era quella dei miei genitori. Quest'anno ho chiamato io per prima, non tanto per gli auguri al mio papà ma per sapere come stanno quei due vecchi soli a casa, impauriti da un mostro che non conoscono, loro che ne hanno affrontato tante di lotte, ora sono così fragili e impotenti.
A mancarmi è stata la spensieratezza, vinta da un enorme senso di colpa, io che per lavorare non sono costretta ad uscire e che posso stare comodamente a casa a svolgere un lavoro che ora mi sembra così futile e sterile.
Ma soprattutto mi è mancata la telefonata di mio fratello, quella voce allegra e rassicurante che sapeva darmi la pace di cui avevo bisogno; quel ragazzo che mi chiedeva "dove sei? È bello? Fai tante foto che poi le guardiamo insieme!", lui che viaggiava con i miei occhi e ora è partito dove non ci sono foto da fare. A mancarmi sono le sue raccomandazioni, e sono certa che mi avrebbe detto "stai a casa, non uscire, festeggia perché sei viva ma non uscire".

Non sono uscita fratello Jons, spengo la candelina fra un groppo in gola e un sorriso a metà, ma non chiedermi di più perché non riesco, posso solo sperare che domani sia migliore. E tornare a sorridere, tutti. 

domenica 15 marzo 2020

La gratitudine per le cose belle



Da quando sono rientrata dal mio viaggio in Portogallo ho evitato accuratamente di scrivere: il bel tacer non fu mai scritto. Ritengo che prima sia doveroso ascoltare e poi, eventualmente, parlare. In questo caso ho poco da dire, se non che stiamo vivendo un periodo storico molto drammatico e mai come ora i concetti di responsabilità, reciprocità e cooperazione, tanto cari a noi pedagogisti, sono fondamentali. In questa settimana ho sperimentato e visto il mondo da una dimensione completamente diversa, come tutti del resto, e ho cercato in qualche maniera di elaborarla alla mia maniera. Anzitutto il mio lavoro: faccio l’educatrice e mi occupo di tre servizi, ovviamente il contatto umano in queste mansioni è fondamentale, la sua assenza lo rende sterile. Svolgo il mio servizio presso due scuole, una comunità per disabili e soprattutto per la Tutela minori nei Servizi Sociali. Non sto a dilungarmi molto: le scuole sono chiuse e a me mancano i nanetti e i loro sogni; il mio servizio in comunità si limita ad un turno la settimana e là si vive dentro una bolla, senza mascherine e con la consapevolezza che per loro, così abitudinari, sono saltati tutti gli schemi e anche la consueta passeggiata che viene negata è oggetto di destabilizzazione. Per il resto mi occupo di Tutela minori e MAI avrei pensato che fosse possibile lavorare da casa: vedere lo schermo del mio portatile diviso in tre o quattro parti, con le facce dei miei utenti che parlano è stato surreale. Inutile dire che ho dovuto fare dei tutorial telefonici per insegnare loro l’uso di alcune applicazioni ma questo è stato fin divertente, a me rimane impressa la loro estrema collaborazione, il loro impegnarsi per avere un contatto umano, seppur attraverso lo schermo di un cellulare o di un computer. Le mie giornate sono diverse: le passo a dialogare, mediare conflitti, agevolare relazioni, osservare dinamiche interpersonali attraverso uno schermo. Non mi abituerò mai a questo genere di lavoro ma di fatto mi reputo fortunata: posso lavorare da casa, non sono costretta ad uscire per lavoro e non sono esposta ad alcun rischio. Sono fortunata perché gran parte delle mie colleghe sono a casa, non lavorano e il loro stipendio sarà diverso, visto che il nostro contratto prevede che se non lavori non ti pagano, e per quanto ci garantiscano degli ammortizzatori sociali, certamente non sarà lo stesso. Se sono preoccupata? Si, molto, ma cerco di tenere i nervi saldi e un briciolo di razionalità. Ad esempio: vivo di fronte ad una delle tante Esselunga del Piemonte, ho visto le file disumane e gli assalti subito dopo le misure restrittive, ma non ho fatto alcun video o foto anche se potevo farlo comodamente dal mio balcone. Non l’ho fatto perché credo che pubblicare tali immagini sia controproducente: chi lo guarda ne deduce che potrebbero finire le scorte alimentari e si precipita ad acquistare cibo prima che finisca, generando così altro caos. Dalla Sardegna mi sono arrivate immagini e video dell’invasione nordica nelle seconde case: non ho pubblicato neanche queste ma ciò non fa di me una paladina del politically correct, semplicemente non serve aggiungere panico e caos dove ce n’è già in abbondanza. Mi sono fatta le mie idee che magari non sono così originali e richieste, pertanto le tengo per me. In questo momento a me sembra doveroso essere riconoscente e ringraziare tutti quelli che stanno lavorando affinché questa situazione sia meno drammatica: dai medici ai camionisti, dai cassieri agli operatori sociali, dai netturbini agli impiegati allo sportello, da quelli che fanno le dirette per alleggerire la permanenza fra le mura domestiche a quelli che cantano sul balcone per sentirsi ancora vicini. Chi deve uscire per lavoro merita tutta la nostra riconoscenza e gratitudine e a loro deve arrivare il nostro abbraccio, silenzioso e distante ma deve arrivare; tutti noi però DOBBIAMO rimanere a casa e possiamo inventarci di tutto per mitigare questa situazione. Leggere dei libri, pubblicare delle belle foto, fare bricolage, condividere ricette, oppure facciamo video chiamate, beviamo fino a ubriacarci, progettiamo viaggi e desideri ma soprattutto cerchiamo di non farci del male a vicenda. Prendiamo l’abitudine di fare cose belle, di riempire questo tempo con azioni che ci fanno star bene, di provare empatia e gratitudine, valutiamo tutte le cose meravigliose che ci mancano e magari la fine di questo incubo arriverà prima. E molte cose che abbiamo dato per scontate le vedremo straordinarie. Nel frattempo riempiamoci di cose belle: ho da dare solo parole e immagini, non è niente ma è un modo come un altro per deviare i pensieri verso un sorriso o un sogno a metà.