domenica 15 marzo 2020

La gratitudine per le cose belle



Da quando sono rientrata dal mio viaggio in Portogallo ho evitato accuratamente di scrivere: il bel tacer non fu mai scritto. Ritengo che prima sia doveroso ascoltare e poi, eventualmente, parlare. In questo caso ho poco da dire, se non che stiamo vivendo un periodo storico molto drammatico e mai come ora i concetti di responsabilità, reciprocità e cooperazione, tanto cari a noi pedagogisti, sono fondamentali. In questa settimana ho sperimentato e visto il mondo da una dimensione completamente diversa, come tutti del resto, e ho cercato in qualche maniera di elaborarla alla mia maniera. Anzitutto il mio lavoro: faccio l’educatrice e mi occupo di tre servizi, ovviamente il contatto umano in queste mansioni è fondamentale, la sua assenza lo rende sterile. Svolgo il mio servizio presso due scuole, una comunità per disabili e soprattutto per la Tutela minori nei Servizi Sociali. Non sto a dilungarmi molto: le scuole sono chiuse e a me mancano i nanetti e i loro sogni; il mio servizio in comunità si limita ad un turno la settimana e là si vive dentro una bolla, senza mascherine e con la consapevolezza che per loro, così abitudinari, sono saltati tutti gli schemi e anche la consueta passeggiata che viene negata è oggetto di destabilizzazione. Per il resto mi occupo di Tutela minori e MAI avrei pensato che fosse possibile lavorare da casa: vedere lo schermo del mio portatile diviso in tre o quattro parti, con le facce dei miei utenti che parlano è stato surreale. Inutile dire che ho dovuto fare dei tutorial telefonici per insegnare loro l’uso di alcune applicazioni ma questo è stato fin divertente, a me rimane impressa la loro estrema collaborazione, il loro impegnarsi per avere un contatto umano, seppur attraverso lo schermo di un cellulare o di un computer. Le mie giornate sono diverse: le passo a dialogare, mediare conflitti, agevolare relazioni, osservare dinamiche interpersonali attraverso uno schermo. Non mi abituerò mai a questo genere di lavoro ma di fatto mi reputo fortunata: posso lavorare da casa, non sono costretta ad uscire per lavoro e non sono esposta ad alcun rischio. Sono fortunata perché gran parte delle mie colleghe sono a casa, non lavorano e il loro stipendio sarà diverso, visto che il nostro contratto prevede che se non lavori non ti pagano, e per quanto ci garantiscano degli ammortizzatori sociali, certamente non sarà lo stesso. Se sono preoccupata? Si, molto, ma cerco di tenere i nervi saldi e un briciolo di razionalità. Ad esempio: vivo di fronte ad una delle tante Esselunga del Piemonte, ho visto le file disumane e gli assalti subito dopo le misure restrittive, ma non ho fatto alcun video o foto anche se potevo farlo comodamente dal mio balcone. Non l’ho fatto perché credo che pubblicare tali immagini sia controproducente: chi lo guarda ne deduce che potrebbero finire le scorte alimentari e si precipita ad acquistare cibo prima che finisca, generando così altro caos. Dalla Sardegna mi sono arrivate immagini e video dell’invasione nordica nelle seconde case: non ho pubblicato neanche queste ma ciò non fa di me una paladina del politically correct, semplicemente non serve aggiungere panico e caos dove ce n’è già in abbondanza. Mi sono fatta le mie idee che magari non sono così originali e richieste, pertanto le tengo per me. In questo momento a me sembra doveroso essere riconoscente e ringraziare tutti quelli che stanno lavorando affinché questa situazione sia meno drammatica: dai medici ai camionisti, dai cassieri agli operatori sociali, dai netturbini agli impiegati allo sportello, da quelli che fanno le dirette per alleggerire la permanenza fra le mura domestiche a quelli che cantano sul balcone per sentirsi ancora vicini. Chi deve uscire per lavoro merita tutta la nostra riconoscenza e gratitudine e a loro deve arrivare il nostro abbraccio, silenzioso e distante ma deve arrivare; tutti noi però DOBBIAMO rimanere a casa e possiamo inventarci di tutto per mitigare questa situazione. Leggere dei libri, pubblicare delle belle foto, fare bricolage, condividere ricette, oppure facciamo video chiamate, beviamo fino a ubriacarci, progettiamo viaggi e desideri ma soprattutto cerchiamo di non farci del male a vicenda. Prendiamo l’abitudine di fare cose belle, di riempire questo tempo con azioni che ci fanno star bene, di provare empatia e gratitudine, valutiamo tutte le cose meravigliose che ci mancano e magari la fine di questo incubo arriverà prima. E molte cose che abbiamo dato per scontate le vedremo straordinarie. Nel frattempo riempiamoci di cose belle: ho da dare solo parole e immagini, non è niente ma è un modo come un altro per deviare i pensieri verso un sorriso o un sogno a metà.

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