domenica 19 giugno 2022

Il ballo di Cloe

Ieri Torino mi ha accolto con la sua aria regale fatta di portici, di spazi ampi e maestosi. Ho diviso il mio panino coi piccioni del parco Valentino poi sono andata al Pride. Le parate festanti ed orgogliose stanno tornando a popolare le strade dopo due anni di blocco, ed io ho sempre il groppo in gola. Perché mi commuovono questi ragazzi e ragazze, giovani, giovanissimi, che sono lì, abbracciati, colorati, gioiosi, belli da morire, che si amano e che cercano la loro felicità fra sbagli, sogni, lotte e risate. Quando io ero ragazza i Pride non esistevano: in Sardegna il primo Pride si è svolto a Cagliari nel 2012, io avevo 40 anni e vivevo a Roma da anni. Oggi mi sono resa conto che questi ragazzi e ragazze sono coraggiosi e fieri, non sono disposti a nascondersi o a negarsi in nome del bigottismo imperante, hanno riempito le strade ballando e cantando, e questa presenza, massiccia, pacifica e orgogliosa, mi fa ben sperare per il futuro.
Perché io ho dovuto aspettare il 1994 e andare fino a Roma per godere della prima vera manifestazione per i diritti LGBT e a 22 anni ero fra le presenze più giovani di quel Pride. Oggi c'erano tanti adolescenti,
tantissimi bambini con i propri genitori, e anche tanti cagnetti che scodinzolavano felici. Ed eravamo tutti belli, ognuno ad esprimere ciò che sente, ciascuno a suo modo. Ed io mai giustificherò l'omofobia, MAI. Perché non capisco cosa vi toglie la felicità altrui, cosa toglie alla vostre fottute vite il fatto che altre persone possano amare chi diavolo vogliono, pretendere dei diritti senza discriminazioni. Cosa vi cambia se una persona vuole vestirsi da donna, da uomo o da chi SENTE DI ESSERE? Oggi c'era festa, musica e colori per le strade di Torino, ma c'era anche rabbia. Fra i tanti cartelli cazzari, veri e giusti, tanti erano per Cloe. Perché Cloe oggi era su quelle vie colorate, nella piazza che ballava, era libera di essere donna. Cloe era una donna bellissima che camminava fiera,circondata da persone che le volevano bene e lei danzava dentro il suo vestito di vento e rossetto. Ed è inutile che vi nascondiate dietro la scusa degli alunni turbati dalla sua transizione, che quei ragazzi anche oggi hanno dimostrato che loro vogliono ESISTERE e non gli importa niente delle vostre ignobili etichette.E voi odiatori seriali siete solo dei miserabili, vivete in un cubicolo di ragnatele e ignoranza, vi nutrite di odio e fascismo ma non riuscirete a fermare tutto questo. E Cloe sarà per sempre una macchia sulla vostra coscienza, che siete complici di averla ridotta in cenere. La speranza è racchiusa nella scatolina di questa ragazza: leggete, dovete leggere perché vivete nella melma della vostra crassa ignoranza, e se proprio non ci riuscite, fate leggere i vostri figli perché loro meritano un mondo diverso. E no, non provate a mascherare la vostra cattiveria dietro la scusa dei vostri figli che meritano un futuro canonico e radioso: la verità è che siete incapaci di gioire della felicità altrui, stronzi. 

lunedì 13 giugno 2022

L'eleganza del crollo


Mi sono laureata in pedagogia nel 2001 e con quel rotondo 110/110 et lode ho iniziato subito a lavorare. Mi sono occupata soprattutto di minori (dalle scuole alle ludoteche fino alla tutela minori) e disabili, soprattutto psichiatrici adulti. Ho sempre pensato che avrei fatto questo lavoro per tutta la vita perché mi piace, l’ho scelto, penso di essere brava, lo faccio con serietà e impegno e mi sento appagata dai piccoli traguardi che raggiungo. Sono sempre stata quella “brava”, versatile, adatta ad ogni servizio, seria e professionale; potrei tornare in ogni posto di lavoro che ho lasciato certa di essere riaccolta e no, non è presunzione ma consapevolezza di aver dato sempre tutta me stessa per questo lavoro. Da tempo sentivo una vocina, di quelle silenziose e timide che ti ostini a non considerare ma poi è necessario fermarsi e ascoltare. Così ieri pomeriggio mentre sfogliavo le pagine di un libro (Violeta di Isabel Allende per i più curiosi) ho sentito la necessità di fermarmi e confessarmi che non ce la faccio più a fare questo lavoro.
Come tutte le confessioni è stata sussurrata ma ha creato uno boato fragoroso, di quelli che creano uno spartiacque fra il prima e il dopo. Ho 50 anni appena compiuti e mi concedo il lusso di crollare, di piangere per qualcosa che non riesco più a fare e che voglio lasciare al più presto. Il lusso di sentirmi in trappola e piangere tutte le lacrime del mondo, consapevole che non è semplice inventarsi un fottuto lavoro a 50 anni quando per 21 anni hai sempre fatto l’educatrice. E mi sento schiacciata da questa improvvisa paura di sbagliare con delle persone delicate come bolle di sapone, dall’opprimente responsabilità di fare una relazione sbagliata, dal pensiero che da quelle mie parole in parte si decide il futuro di un bambino, che non ti fa dormire la notte, una responsabilità compensata con poco più di mille euro al mese e che ti porta a contare i soldi nel borsellino, un lavoro bellissimo quando sei in mezzo ai ragazzi ma che ti sbatte sempre a gestire conflitti e situazioni precarie e devastanti. E allora me lo concedo questo lusso di crollare, di urlare contro il muro e piangere finché ho lacrime nascoste nel fondo delle tasche, di ammettere la mia fragilità, vomitare la mia frustrazione e spaventarmi per un futuro che ancora non riesco a immaginare. Rivendico il sacrosanto diritto di non farcela, di cadere in maniera goffa eppure elegante, come se tutto fosse un logorante giro di valzer. E no, adesso non voglio pensare che in fondo sono forte, che tanto mi rialzo e ce la farò anche stavolta, basta con questo mito che si deve essere forti, temprate e andare avanti stoicamente: io voglio solo scendere da questa giostra e fregarmene se riprende a girare senza di me. Oggi ho solo bisogno di crollare e sentirmi libera di farlo, di piangermi addosso, svuotarmi, contare le crepe del mio guscio e vivermi lo sgretolio di questa cinquantenne che ancora crede di cambiare il mondo con un sorriso sbilenco e un metro e mezzo di statura. 

domenica 5 giugno 2022

Ricordi, pasta e donne

Nei giorni scorsi navigando sul web mi sono imbattuta in un articolo che parlava dei diversi formati di pasta artigianale, la Sardegna conta oltre 20 tipi di pasta, compreso quello più antico, ossia Su Filindeu. Allora mi sono messa a scavare nei ricordi, a cercare nei ripostigli della memoria le tracce di mia nonna, alle sue mani rugose, con le vene bluastre in rilievo che faceva sos maccarrones de pòddighe, o sos ladoso, o altre millemila cose che voleva rifilarmi a tutte le ore. E così oggi ho preso un sacchetto di semola e ho iniziato ad impastare sos andarinos, una pasta tipica di Usini, paesino vicino a Sassari. All'università avevo questa compagna di corso, si chiamava Mariangela, forse ne ero segretamente innamorata, chi se lo ricorda, di fatto un giorno piovoso mi disse "dai, vieni a casa a studiare, pranziamo e poi studiamo sto cazzo di gestalt di merda". Non era proprio una principessa Mariangela eh! Allora andai, su un pullman scassato dell'Arst a casa di Mariangela, la mamma ci accolse con un piatto di andarinos. Io rimasi affascinata da quella pasta, dalla forma, da quella donna tutta scompigliata e incipiriata di farina che aveva creato quelle meraviglie che stavo mangiando. Allora oggi ho provato a farli. Inutile dire che dopo 20 minuti di cose oscene stavo per mandare tutto all'aria, ma io sono perseverante, e alla fine ci sono riuscita. Ok, non sono perfetti come quelli della mamma di Mariangela ma alla fine posso ritenermi soddisfatta! E allora ci ho preso gusto...e perché non fare le lorighittas di Morgongiori? Che io me le ricordo quando le faceva il buon Giovanni, col sugo di pesce e crostacei. Però ora che ci penso erano ottimi anche gli spizzulus di Orroli, credo li abbia portati una mia coinquilina ed erano talmente buoni con la salsa ghisadu che per festeggiare facemmo cose inenarrabili; l'indomani mi svegliai in un'altra stranza ma che importa? Mentre le caombasa di Masullas io ricordo di averle mangiate da qualche parte, era primavera, avevo appena dato l'esame di neuropsichiatria infantile ed ero felice. E anche le crogoristasa le fanno a Masullas, ma io ci sono mai stata in questo paese? Perché ricordo di aver mangiato queste meraviglie? Avevo forse un'amante di Masullas? Nel caso palesati tesoro perché non mi sono venute benissimo le crogoristasa! Allora sono passata a fare i gravellus, che sono bellissimi, quasi quasi non li mangeresti... Quasi. Li mangiai nel Meilogu, li faceva la mamma di Barbara, una signora di Oristano... Ah Barbara, benedetta ragazza! E niente, per finire stavo facendo degi malloreddus, che anche lì io mi perdo eh... E mi imbatto in una foto nel web dove c'è una pasta a forma di conchiglia rigata con la didascalia "su pitzosu, antica pasta della Sardegna". COME?? SCHERZIAMO?
E io perché non la conoscevo? Come mai non conosco nessuna donna che mi abbia portato a casa sua a mangiare i pitzosu?? E poi vogliamo parlare del fatto che neanche sono riuscita a farne un vassoio perché ho finito la pasta?? E comunque, il fatto è che adesso ho 387 vassoi di pasta fresca, perciò toccherà invitare tutto il condominio per cena.