lunedì 13 giugno 2022

L'eleganza del crollo


Mi sono laureata in pedagogia nel 2001 e con quel rotondo 110/110 et lode ho iniziato subito a lavorare. Mi sono occupata soprattutto di minori (dalle scuole alle ludoteche fino alla tutela minori) e disabili, soprattutto psichiatrici adulti. Ho sempre pensato che avrei fatto questo lavoro per tutta la vita perché mi piace, l’ho scelto, penso di essere brava, lo faccio con serietà e impegno e mi sento appagata dai piccoli traguardi che raggiungo. Sono sempre stata quella “brava”, versatile, adatta ad ogni servizio, seria e professionale; potrei tornare in ogni posto di lavoro che ho lasciato certa di essere riaccolta e no, non è presunzione ma consapevolezza di aver dato sempre tutta me stessa per questo lavoro. Da tempo sentivo una vocina, di quelle silenziose e timide che ti ostini a non considerare ma poi è necessario fermarsi e ascoltare. Così ieri pomeriggio mentre sfogliavo le pagine di un libro (Violeta di Isabel Allende per i più curiosi) ho sentito la necessità di fermarmi e confessarmi che non ce la faccio più a fare questo lavoro.
Come tutte le confessioni è stata sussurrata ma ha creato uno boato fragoroso, di quelli che creano uno spartiacque fra il prima e il dopo. Ho 50 anni appena compiuti e mi concedo il lusso di crollare, di piangere per qualcosa che non riesco più a fare e che voglio lasciare al più presto. Il lusso di sentirmi in trappola e piangere tutte le lacrime del mondo, consapevole che non è semplice inventarsi un fottuto lavoro a 50 anni quando per 21 anni hai sempre fatto l’educatrice. E mi sento schiacciata da questa improvvisa paura di sbagliare con delle persone delicate come bolle di sapone, dall’opprimente responsabilità di fare una relazione sbagliata, dal pensiero che da quelle mie parole in parte si decide il futuro di un bambino, che non ti fa dormire la notte, una responsabilità compensata con poco più di mille euro al mese e che ti porta a contare i soldi nel borsellino, un lavoro bellissimo quando sei in mezzo ai ragazzi ma che ti sbatte sempre a gestire conflitti e situazioni precarie e devastanti. E allora me lo concedo questo lusso di crollare, di urlare contro il muro e piangere finché ho lacrime nascoste nel fondo delle tasche, di ammettere la mia fragilità, vomitare la mia frustrazione e spaventarmi per un futuro che ancora non riesco a immaginare. Rivendico il sacrosanto diritto di non farcela, di cadere in maniera goffa eppure elegante, come se tutto fosse un logorante giro di valzer. E no, adesso non voglio pensare che in fondo sono forte, che tanto mi rialzo e ce la farò anche stavolta, basta con questo mito che si deve essere forti, temprate e andare avanti stoicamente: io voglio solo scendere da questa giostra e fregarmene se riprende a girare senza di me. Oggi ho solo bisogno di crollare e sentirmi libera di farlo, di piangermi addosso, svuotarmi, contare le crepe del mio guscio e vivermi lo sgretolio di questa cinquantenne che ancora crede di cambiare il mondo con un sorriso sbilenco e un metro e mezzo di statura. 

2 commenti:

  1. You job caries huge responsibilities for the welfare of others which I could not do. I imagine you see parts of peoples lives that ordinarily remain secret. I would find that decision process you go though draining. I tried to think how it would be if I lost my interest in my work. I stuggle to imagine it clearly for myself, other than knowing that it would be like something like a part of me had gone. There would be an empty space which would feel like an empty chasm. Whatever you decide I wish the best for you.

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