giovedì 22 settembre 2022

Un cerottino e qualche carezza

Oggi vi racconto la mia giornata partendo dalla fine: rientro ora da un aperitivo con Federica e Francesca, mancava giusto Sara ma l'abbiamo nominata così tante volte che in realtà era con noi. Ho riso e ascol3, ho abbracciato e raccontato, sono stata divinamente e mi sento fortunata se penso a queste Donne che mi vogliono bene e mi danno così tante carezze. Nel pomeriggio ho avuto voglia di splendore, di cose meravigliose, uniche, sono andata al mare e ho guardato la Bellezza col groppo in gola. E ancora sento qualcosa che raschia, proprio qua, fra gola e cuore. Stamane sono andata con mia madre a casa dei nonni: dovevamo pulire la loro abitazione che ormai è chiusa da 8 anni, da quando è morta mia nonna. I miei nonni avevano una casa a 3 piani e mezzo, possedevano terreni e case un po' ovunque, erano considerati benestanti e lo erano. Mio nonno era una perla rara, buono e generoso con tutti, un lavoratore umile e allegro, affettuoso e illuminato, ha fatto studiare tutte le figlie affinché si emancipassero, amava leggere e in quella casa l'unica cosa che non mancava mai erano i libri, mi offriva le mentine e quando ritirava la pensione mi dava dei soldi di nascosto. Potrei dirvi che mia nonna era altrettanto fantastica ma no, mia nonna era una stronza e mentre lo scrivo mi sento più leggera. Quando parlo di una nonna buona sto parlando dell'altra nonna. Questa invece era despota, spesso cattiva ma soprattutto era avara nel senso patologico del termine. Della sua avarizia è rimasta una casa gigantesca che cade a pezzi con dentro ogni genere di oggetto: un vecchio telefono, un altarino a sant'Antonio senza fiori né luce, un mappamondo delizioso, una quantità esagerata di santi, sparsi ovunque, dentro ogni suppellettile e sopra i muri, una chitarra e un fucile, una ballerina dentro un carillon, una trappola per topi e un miliardo di altri oggetti che non ha mai usato per paura di consumarli e che ora si sgretolano al tocco.
Ho vissuto a casa di mia nonna per due anni; quando mi chiedono dove abbia fatto le scuole superiori, rispondo "i primi due anni ad Alcatraz e gli altri 3 ad Olbia". Alcatraz era questa casa enorme e fredda dove ho dovuto vivere per cause di forza maggiore. La verità? Non c'erano le possibilità economiche per farmi studiare, la scelta era tra vivere a casa di nonna o interrompere gli studi dopo la terza media. Ho scelto di studiare, e studiavo qua dentro, spesso con poca luce perché accendere la lampadina costava, si acquistano solo mele perché l'altra frutta costava, se finivo un quaderno non c'erano soldi per comprarne un altro, mi accompagnava da mia madre una volta ogni mese o ogni due mesi perché la benzina chi me la compra per accompagnarti? Forse mi odiava ed io mi sono sempre sentita immeritevole del suo affetto, sempre in difetto e sbagliata. Ho tante ferite rimediate in quei due anni, e no, non si vedono ma io le sento ancora tutte. Oggi quando sono entrata in quella casa mi è mancato in fiato, mi sentivo soffocare e come sempre ho buttato tutto in cacciara, ho riso mentre dentro tutto si screpolava fino a rompersi. Quando sono andata via in tasca mi sono ritrovata un pacco di cerotti: un giorno trasportando della legna mi procurai un piccolo taglietto sul dito, non c'erano cerotti, ovviamente, mio nonno andò a comprarli di nascosto e me ne mise uno con così tanta dolcezza che piansi per tutta la sera. Erano ancora dentro la credenza, li ho presi senza riflettere, forse perché mi appartenevano. E forse li ho presi perché so di aver bisogno di molti cerottini per suturare qualche ferita di troppo: ho bisogno dell'abbraccio di Federica, delle attenzioni di Francesca, della presenza di Sara, degli occhi attenti di mia madre e delle carezze degli amici. Sono questi i miei cerotti, ed io sono fortunata ad averli. E forse un giorno sarò in grado di perdonare. 

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