martedì 8 settembre 2020

Per un pugno di riso e risate

Stamane mi sono svegliata a Oristano con una sensazione di grande appagamento, complice forse la cena di ieri in un'osteria. E non parlo di un'osteria moderna ma di quelle vecchio stile, dove l'antipasto per una persona basterebbe a sfamare la caserma Gonzaga. Stamane il cielo era velato, scarto l'opzione relitto spiaggiato sulla battigia e opto per qualcosa di culturale, alla scoperta della penisola del Sinis. Vado a Tharros, sito archeologico sul mare, cornice incantevole di un mondo perduto. È tutto bellissimo anche se il cielo velato ha creato una cappa di umidità peggio che a Bangkok, giusto per non farmi rimpiangere il Piemonte. Nonostante la cappa di nuvole decido di andare verso la lingua di terra che collega Capo San Marco, la punta di questa penisola. Sto per evaporare e allora mi affido al mio classico rituale scaccia nuvole, collaudato in età infantile: ripeto per tre volte consecutive "nuvoletta, nuvoletta, vattene via in fretta!". Perdonatemi, ho avuto una madre maestra che mi ha insegnato una serie di idiozie: servivano a farmi stare buona in tenera età, quando sembravo una bambina normale. Il rituale non funziona, io sto per sciogliermi durante la salita, peraltro ho portato con me lo zaino con l'occorrente per il mare, sto per morire ma arrivo addirittura in cima alla Torre di San Giovanni e finalmente mi godo il panorama. Da qua tutto sembra piccolo, anche ciò che ti sei lasciata alle spalle, e a regnare è la leggerezza. Ci sono 30°, con l'umidità ne percepisco 84, mi sembra di essere nel deserto del Lut e allora rotolo verso la macchina per andare al mare. Vado a Is Arutas a godermi un piatto di riso: rimango ore ad accarezzare i cristalli di quarzo che formano la spiaggia. La natura è meravigliosa e ha molto da insegnarci: miliardi di chicchi di diversi colori rimangono stretti l'un l'altro fino a formare un insieme coeso di Bellezza; è questa la magia che noi umani non sappiamo realizzare. Spunta anche il sole ed io rimango ferma a godermi lo spettacolo dei riflessi del sole sulle onde. Sono sazia del mio pugno di riso, vado verso Oristano ma sento che manca qualcosa. Sulla strada c'è un piccolo paesino, San Salvatore del Sinis: sembra un villaggio abbandonato ed è stato set di qualche film spaghetti Western. Ho fortuna e trovo il custode della chiesa: mi spiega che è un villaggio religioso, non è mai stato abitato, le casette intorno alla chiesa sono "seconde case" di fedeli che le hanno costruite per rimanere in loco durante i festeggiamenti del Santo. Mi permette di scendere nell'ipogeo: dentro dei disegni del IV secolo d.C., la chiesa è stata costruita sopra questo tempio pagano, intorno al Seicento. Fuori dalla chiesetta tutto è vuoto e silenzioso, un paese fantasma che ha qualcosa di vivo: sono le voci di 3 bambini che giocano, rimasti qua con le famiglie dalla festa che si è conclusa domenica scorsa. Sono splendidi: una bambina biondissima, uno nero e riccioluto con l'aria da furfante e uno paffutello. Le loro chiacchiere e risate riecheggiano per tutta la piazza della Festa. Non si contendono un pugno di dollari ma un monopattino e un pallone. Il furfante non vuole dare il monopattino alla bionda, interviene il saggio "prestaglielo! Gliele devi prestare le cose alle femmine!", il riccio risponde con aria dispettosa "no, non glielo do!". Il saggio paffuto scuote la testa e commenta "tanto quanto sei adulto una te la devi sposare...dagliele le cose alle femmine!". Sorrido dei loro discorsi innocenti, delle loro corse nella piazza e nei vicoli, delle loro lotte per le attenzioni di una dolcissima bionda. In fondo che sia per un pugno di risate, dollari o riso, tutti inseguiamo qualcosa che ci viene negato. 

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