Ultimamente sono più le volte che mi
chiedono "Ma come fai ad avere 30.000 follower?" piuttosto
che "Me la dai?", a prova della netta inversione di
tendenza del maschio italico. Rispondo sempre "Non lo so"
perché è la verità. Non so perché ho 30.000 follower, ma so di
non meritarli: non scrivo perle di saggezza perché so che andrebbero
in pasto ai porci, non scrivo cose divertenti o interessanti e
neanche posso dire di spenderci tanto tempo su Twitter. Posso però
spiegare le varie tappe che mi hanno portato ad avere 30.000
followers, che non sono pochi per una che non è una soubrette,
un'intellettuale o un'opinion leader (che non so neanche cosa vuol
dire). Mi sono iscritta a Twitter tanti anni fa, avevo come pic la
mia foto e il mio nick era il mio nome e cognome. Scrivevo di me,
pensieri, viaggi, avventure e il mio lavoro, che all'epoca era fare
l'educatrice per bambini disabili nelle scuole pubbliche. Avevo tanti
follower anche allora ma Twitter era un'altra cosa: era un bar, si
entrava in punta di piedi, si chiacchierava, si condivideva tanto e
si sorrideva di noi stessi. Una brutta storia di vita e di stalker mi
hanno portato a chiudere quell'account: per quanto allora Twitter
fosse un bar di periferia, esistevano comunque gli stronzi convinti
di poter prendere dal cesto qualsiasi cosa o persona. Chiusi
l'account con un Tweet "3...2...1...GAME OVER" e cliccai il
tasto per eliminarlo. Quel capitolo si chiuse con la consapevolezza
che anche il gioco più innocente può essere devastante se lasciato
in mano a degli squilibrati. Per tanto tempo non mi affacciai
minimamente al mondo dei social network e ciò mi portò a scoprire
che senza Twitter si vive lo stesso. Non è incredibile ragazzi? Si
mangia lo stesso anche se non si pubblicano le foto, si ascolta
musica anche se non condividiamo il link di YouTube e, cosa ancor più
sorprendente, si ama e si fa l'amore lo stesso anche se non si
scrivono poesie e prodezze virili in 140 caratteri. Il 26 aprile 2012
ero immersa in un turno di 24 ore in una comunità per disabili
psichici e, complice la fatica, la difficoltà nello stare sveglia,
ho creato un account con un uovo, guardai dentro Twitter e non trovai
nessuno: il bar era chiuso, forse per turno. Non scrissi nulla. Finii
quel turno alle 11 del mattino e andai sulla tomba di Gramsci per
l'anniversario della sua morte, provai rabbia e disgusto nel vedere
quell'urna del cimitero acattolico di Roma quasi in abbandono. Avrei
voluto gridarlo al mondo intero ma essendo affetta da una brutta
raucedine mi resi conto di non avere il timbro vocale giusto. Forse
era meglio entrare in un bar di Testaccio, ma era una giornata
uggiosa e i bar a Roma offrivano solo arancini, pizza bianca con
mortazza e il rutto libero di 4 cassaintegrati. Così pensai che un
bar virtuale come Twitter avrebbe potuto lenire la mia rabbia. Memore
dei consigli anti stalker della polizia postale, tolsi anzitutto la
geolocalizzazione, al posto dell'uovo del giorno prima scelsi una pic
"anonima", che non avesse niente di me se non gli ideali:
un Che Guevara donna, una pic presa dal sito sudamericano WhyNot che
si occupa di diritti delle donne. Il nick Sfigatamente mi venne in
mente in seguito a un dialogo con un mio amico filosofo "le
persone che non pensano hanno il dono dell'incoscienza, e quindi
della serenità. Tu, cara amica, sei essere pensante, ergo una
sfigata mente destinata al tormento". Grazie caro amico, davvero
grazie. Ma il profilo era stato creato. Entrai in punta di piedi come
sempre...e trovai non più un bar ma un circo: saltimbanchi,
umoristi, poeti, politici, star, attori, vallette, bimbiminkia,
cialtroni, maiali famelici, professori, commentatori compulsivi di
programmi televisivi, clown e pubblico vociante e pagante. Cercai
quelli che avevo lasciato: la maggior parte di loro erano diventati
"twitstar", blogger e personaggi che ogni giorno scrivevano
monologhi nella propria pagina. Presi posto dietro le quinte e ho
scritto come sono abituata a fare da sempre: dal 27 Aprile 2012 ho
vomitato sulla mia TL me stessa e la mia vita. Coi miei followers ho
condiviso vittorie e sconfitte, le emozioni più belle e i viaggi più
divertenti, la solitudine e i miei limiti, le mie pirlate a salve e i
miei acrostici irriverenti, le mie foto e la rabbia, la diplomazia e
la malinconia, il mio lavoro e i turni al massacro, l'imbecillite e
il mio vivere perennemente in uno squilibrio equilibrato. Questa sono
io e questo ho messo sull'account di SfigataMente: una persona
normale che vive la sua vita cercando di cogliere l'aspetto ludico e
cazzaro in ogni passo, con le sue pause riflessive da persona 42enne
sempre in bilico fra una risata fragorosa e una manciata di lacrime.
Non so perchè mi seguono queste 30.000 persone, mi guardo intorno e
vedo i mostri sacri del Twitter, che quando li leggo mi sento piccola
come un seme di zucca (una zucca vuota nella fattispecie) buttata
dentro un silos di angurie gigantesche. E lo so di non meritare
queste 30.000 persone perchè non sono straordinaria ma semplicemente
normale. Che ci sia bisogno di normalità in questo posto dove tutti
mirano ad essere stra-ordinari?! Non mi segue nessun VIP, nessuno di
quelli che contano su Twitter, non vinco nessun premio, non mi
chiedono collaborazioni ma mi seguono solo persone normali che nella
loro vita fanno il meglio che possono per sorridere. Peraltro vi
garantisco che avere un gran numero di followers non porta alcun
vantaggio nella vita reale: si lavora e si suda esattamente come
quando se ne hanno 50 o 5.000 di followers.
Col tempo ho imparato alcune regole
fondamentali per non essere ingoiata nelle sabbie mobili dei 140
caratteri:
- Non rispondere alle provocazioni dei pirla conclamati che popolano Twitter perché ciò provoca un aumento di popolarità dei pirla in questione.
- Non rompere i coglioni alla TL con 10.000 interazioni con la stessa persona: in questi casi trasferirsi su Whatsapp o ancor meglio, prendere il telefono e farsi una chiacchierata con l'interlocutore.
- Rispondere alle mention, nei limiti del possibile seppur in ritardo. Mia madre mi ha insegnato che quando una persona ti rivolge la parola è segno di buona educazione rispondere. Non vorrei mai tradire le aspettative della mia genitrice. Mi sento autorizzata a non rispondere quando la mention equivale a ":-)" / "Ahahahahah" / "Sei tu quella della pic?" / "Mi fai un retweet?" / "Sei bellissima, mi vuoi conoscere?" / ";-))))" / "Seguimi e ti seguo!"/ e via ad libitum.
- Non rispondere ai DM porci o di sconosciuti che chiedono "M o F?" o "Sei single o sposata?". Ho un cattivo rapporto coi DM: mi piace interagire senza segreti in TL e quando al mattino vedo 78 messaggi non letti mi viene la pellagra e penso che di notte è tanto bello dormire e sognare invece di scrivere minchiate in DM.
- Condividere e interagire. Probabilmente sono l'ultima delle romatiche, ma adoro condividere emozioni, parole, risate e coriandoli di vita. E per condividere si deve interagire: quando pubblico un pensiero, una foto o una pirlata, chi mi legge commenta. Se io lasciassi quelle persone senza risposta si tratterebbe di un monologo e di negazione del confronto, come salire su un palcoscenico e avere davanti una platea vuota.
- Follow back o non follow back? Io trovo tutti molto più interessanti di me. Qualche milionata di profili mi piacciono parecchio, ma c'è un limite di following quando si supera una certa soglia: Twitter impone che in questi casi il numero di following non superi i followers. La condivisione per essere tale deve essere reciproca, perciò ho scelto di seguire le persone che mi seguono. Ma non seguo tutti: non seguo le "uova" (santi numi, se vi iscrivete a un social network sprecate 2 minuti per metterci una pic, su!), non seguo profili porno, aziende, siti web, agenti di marketing, professionisti in cerca di pubblicità e simili. Non seguo profili che non interagiscono, quelli senza tweet, quelli che gli ultimi 100 tweet sono "Ciao!...Ciao!...Ciao!...Buongiorno!...Buonasera!...Buonanotte!".
- Defolloware o non defolloware? Un defollow fa male quando si tratta di persone con le quali hai interagito un sacco di volte, che ti sembrava di conoscerle, di averci condiviso uno scampolo di strada. Poi ti arriva il defollow ed è evidente che quella persona non vuole più condividere niente con te o che improvvisamente le stai diametralmente sulle gonadi. Ed è con un po' di malinconia che premo il tasto "smetti di seguire" attuando un defollow back senza parole. A volte invece premo quel tasto con grande animo cazzaro, come se Twitter fosse una macchina infernale dove ci si incontra e ci si lascia senza stringersi la mano: Twitter è lo specchio della vita.
- Andare oltre la pic. Non ho mai rifiutato di incontrare i miei followers quando questi davano dimostrazione di avere un certo equilibrio mentale. Poco importa se poi alcuni pubblicavano la foto dei loro addominali stile tavoletta di cioccolato e poi quando li ho incontrati quella tavoletta di cioccolato si è rivelata un bignè, sempre di cioccolato ma pur sempre un bignè. Ma io non bado a queste cose, peraltro ho incontrato soprattutto donne e non ho mai assunto posizione sdraiata con un twittero, ma ho avuto l'onore di conoscere persone straordinarie e le considero dei frammenti del mio specchio rotto. E poi è bello essere pelle e voce dopo essere stati pic e parole.
- Essere me stessa. Non riesco ad interpretare un personaggio, non sono una brava attrice, perciò i miei tweet sono il mio diario virtuale, le mie parole rispecchiano lo stato d'animo di quel momento, non ho bozze da salvare perché non riesco a salvare neanche me stessa. Provo molta invidia per quelli che pubblicano solo battute umoristiche, i poeti del Twitter, i maniaci del selfie, i tritura palle perenni, e tutti quelli che hanno un profilo monotematico. Provo sincera invidia per la loro stabilità e costanza: io, ahimè, cambio ogni 38 secondi umore e desideri.
- Twitter è un gioco. Giocare è bellissimo ma bisogna giocare con moderazione, seguire le regole del gioco e non fare del gioco la propria ragione di vita.
Questo è il mio Twitter, il mio modo
di intenderlo e, giusto o sbagliato che sia, è il mio. Il grafico
della mia vita segue fedelmente quello di Sfigatamente, e così
ultimamente i miei followers chiedono "Cosa ti è successo?
Perché twitti così poco? Stai perdendo smalto...". È vero: mi
limito ad uno o due tweet al giorno e a volte neanche quelli, e vivo
di rendita. Ho sempre parlato del mio lavoro e i più attenti avranno
notato che non ne parlo più. Per quanto sia stata tacciata di
buonismo, io amo parlare del mio lavoro, quello di un'educatrice che
lavora con disabili, disagio e tutti i rifiuti che la società
produce. È un lavoro che mi fa star bene e cerco di far sembrare
quel mondo meno distante e più vero dall'immaginario collettivo. Ma
non ne parlo più. Ora lavoro in una struttura per disabili
psichiatrici, ed è patologia, ed io ho grande rispetto per la
malattia, molto rispetto. Non c'è più nulla di divertente nel mio
lavoro, ma sono previsti degli educatori in quel reparto anche se il
ruolo è diverso. E combatti disarmata con una patologia senza
possibilità di miglioramento, ed è aggressività, auto ed
eterolesionismo, terapia continua, è coprofagia, mutismo e sordità,
vomito e impotenza, ed è lottare contro un cancro che divora il
cervello e non si ferma di fronte alle tue parole ma neanche con le
pillole del neuropsichiatra. Ed è sconfitta professionale, spesso
piango e vorrei scappare. Cerco altro lavoro ma no, c'è crisi e non
si trova. E resto impotente, con la consapevolezza che quando torno a
casa ho solo bisogno di silenzio. Per questo ho smesso di twittare
come un tempo: questo lavoro mi assorbe come una spugna gigantesca
che divora un minuscolo bicchiere d'acqua. Ma sto risorgendo, piano,
lentamente, com'è mio costume. E voglio dire GRAZIE a queste 30.000
pic che ancora mi seguono, per essere ancora qua e per stringermi
ancora la mano. In fondo zia Sfiggy ce la fa anche stavolta, e anche
stavolta deve ringraziare un sacco di anime belle...oggi comincio ad
abbracciarne oltre 30.000.