Il mio primo utente si chiamava Luciano. O meglio, la madre di Luciano:
una signora di 70 anni, entrò nel mio ufficio e disse "Ho un figlio di
32 anni, è il mio unico figlio, l'ho avuto tardi. Ha un cancro, deve
andare a 60 km da qua a fare la chemio, ma non ho la macchina, non
guido, mio marito è infermo, a letto da 3 anni. Mi può aiutare?".
Erano passati 4 giorni da quando avevo passato la selezione per
presiedere l'ufficio servizi sociali di un qualsiasi comune sperduto
della Sardegna, il direttore generale del Comune mi aveva scelto perché
avevo il voto più alto e delle idee brillanti e
pratiche per risolvere i problemi, e perché "si vede che lei è onesta e
ha voglia di lavorare". In quel momento, davanti a quella donna era
sparito tutto l'entusiasmo di quella selezione e mi sentivo disarmata,
esattamente come lei, che a 70 anni veniva a chiedere a una ragazza di
27 al suo primo impiego, di salvare quel figlio dal suo destino. E lei
era nuda, aveva perso il pudore con quella richiesta. E io ero senza
pelle e quella richiesta aprì uno squarcio sul mio corpo che non sarebbe
più guarito. La rassicurai e appena lasciò il mio ufficio tirai giù
tutti i faldoni delle Determinazioni, delle Delibere di Giunta e di Consiglio, i bilanci e i piani annuali. Spulciai tutto e il giorno dopo
andai da quel direttore generale e segretario comunale che mi aveva
assunto per far mettere la sua firma su una Determinazione, la numero 28
esattamente, dove si stipulava una convenzione con un ditta di noleggio
con conducente per portare Luciano 3 volte la settimana a fare la
chemio. Costo interamente coperto dai soldi in bilancio dei servizi
sociali
-Come hai fatto a tirare fuori questi soldi?
-Ho limato delle spese
-Quali?
-Cose inutili: la proiezione di un film nella Festa dell'estate, il concerto di uno stupido cantante dopo il torneo di calcetto
-Sei in una giunta di destra e tu sei l'unica comunista: quelle cose
servono al sindaco per guadagnare voti alle prossime elezioni
-Mi mandi il sindaco nel mio ufficio, voglio che sia lui a dirmi che è
più importante un film piuttosto che la vita di un ragazzo di 30 anni
che crepa. Le dica che lo aspetto entro oggi, perché domani ho delle
risposte da dare a quella madre.
Il sindaco non venne, l'indomani mattina trovai sulla mia scrivania la
determinazione numero 28 timbrata, firmata e messa agli atti.
Luciano morì due mesi dopo, lo lasciai la sera attaccato alla bombola
d'ossigeno nel suo letto di casa. Gli dissi "ci vediamo domani" e lui
scosse la testa facendo un No deciso. Prese la lavagnetta e scrisse
"Grazie di tutto". La mattina dopo trovai un post it
dell'amministratrice sulla scrivania "Luciano è morto. Hai la libertà di
chiudere l'ufficio e di andare dalla madre". Chiusi l'ufficio ma non
andai dalla madre. Rimasi in silenzio a guardare le pareti e a pensare
che avrei voluto un primo utente diverso, avrei voluto vincere la
battaglia del primo utente perché mi avrebbe dato la carica. Ma era
capitato Luciano, ed era un figlio, mio figlio, il figlio di tutti, lo
presi per mano e lo portai dentro per sempre, perché da lui ho imparato il
valore della sconfitta.
Eppure ero arrivata a quel lavoro dopo un tirocinio formativo che mi
aveva temprato: una comunità per minori, figli di nessuno, pieni di
ferite e sporco, che il giudice affidava alla comunità di recupero fino alla
maggiore età. Il posto degli ultimi che ti fa capire quanto la società
partorisca mostri contro i quali non puoi lottare sperando di vincere.
Rimasi in quell'ufficio per 2 anni, il tempo per rivoluzionare il piano
degli interventi per i futuri 10 anni. Creai una ludoteca da uno stabile
in disuso, progetto immediatamente accolto dalla Regione e andai a
lavorare nella ludoteca che avevo partorito, a raccogliere chiunque. E i limiti delle fasce d'età non facevano per me:
non mi sono mai piaciute le gabbie. Comprai un biliardino coi soldi
racimolati da una vendita per autofinanziamento e andai nelle strade a
prendermi i ragazzi, quelli grandi.
-Che ci fate per strada? Perché non venite in ludoteca?
-È un posto per bambini!
-Ma c'è il biliardino, i bambini non giocano a biliardino
-...che facciamo?...c'è il biliardino!...ma ci vanno i piccoli...e vabbè
ma almeno facciamo qualcosa...allora ci andiamo tutti o nessuno.
Non era più una ludoteca ma il punto d'incontro di tutti. I ragazzi si
aprivano perché vivono in un mondo sordo e loro hanno bisogno di urlare.
Abbiamo scalato montagne impervie insieme, hanno pianto davanti a me ed
io ho sorriso e li ho abbracciati, piangendo poi quando entravo da sola in
macchina per rientrare a casa. Da allora ho girato gli angoli più bui
del "disagio", passando dalle scuole di obbligo formativo, quelle dove
vanno gli ultimi degli ultimi, fino ai disabili delle scuole statali,
passando per i centri diurni per anziani, stelle spezzate e figli di
nessuno, includendo i ragazzi affidati ai servizi sociali in misura
alternativa al carcere, entrando nelle case dei "disadattati" fra piscio
e violenza, e nelle case famiglia dei "pazzi" e degli abbandonati. La
media del mio stipendio in 15 anni di carriera è inclusa fra i 700/800
euro al mese. Sono venuta a Londra perché stanca di essere sfruttata.
Qua ho trovato lavoro, non faccio turni di 24 ore ma di 8 e guadagno il
doppio che in Italia. Ma non sono felice. A Londra i servizi sociali
sono quanto di più spersonalizzante e istituzionalizzato ci possa
essere: tutto è delegato ai benefits e alle strutture mastodontiche dove
il disagio viene incasellato come barattoli di tomato soupe stipati in
uno scaffale. Non esistono le ludoteche ad esempio, termine
intraducibile e sconosciuto. E a me mancano i miei ragazzi, i miei
bambini, i miei vecchietti. Sono stati loro la mia linfa e la mia
sostanza: sono mossa verso il Dare e non verso il Ricevere. Mi appaga
dar loro la forza e poi vederli camminare con le proprie gambe: la loro
vittoria è la mia ragione di vita. Sono nata per fare quello ed io senza
mi sento morta. Sei mesi di Londra mi hanno arricchito e svuotato
contemporaneamente: Londra è un'esperienza di vita che consiglio a tutti. Ma questi sei
mesi lontano dal mio lavoro mi hanno devastato, svuotato da ogni fantasia e
soddisfazione personale. Ieri mi è arrivata la mail di Lorenzo "Ohi
gigante, a Giugno mi laureo: sarò l'ingegnere più figo della Sardegna!!
Se non stai vagabondando e sei in zona vieni a darmi un bacio
accademico". Lorenzo era un ragazzo discalculico, non capiva i numeri,
il 13 diventava 31 e gli era impossibile capire la matematica. Lo vidi
un giorno mentre andavo in ludoteca, sporco e bello, aveva la pancia
gonfia perché nascondeva una bottiglia di vodka sotto la maglietta dei
Modena City Ramblers. Mi fermai e portai quel bambino di 13 anni con me.
-Cosa vuoi fare da grande?
-Costruire case, mi piace, farò il muratore come mio padre.
-Perché non il geometra o l'ingegnere? Così decidi come si devono
costruire le case invece che costruirle come le vogliono gli altri.
-Non capisco i numeri. Mi confondono, mi viene la rabbia quando li vedo, si muovono e non li capisco.
Il mese successivo nel conto della ludoteca fu addebitato il costo di
500 scatole di fiammiferi da cucina. Il sindaco pensò che volessi dar
fuoco alla ludoteca. Gli risposi "Mi servono per dare a questo paese un
ingegnere straordinario". Il sindaco neanche provava più a remarmi
contro. Con Lorenzo cominciammo a costruire case con i fiammiferi:
tagliarli con le forbici, dividerli in mazzetti, in mattoni, architravi,
blocchi, e le tegole erano lo zolfo rosso della capocchia. Li contava a
voce, poi a mente, faceva le proporzioni, 512 mattoni per una parete,
poi aggiungeva le altre pareti. La colla a caldo era il cemento, costruì
case meravigliose che furono vendute in una vendita di beneficenza.
Imparò così a non aver paura dei numeri. E un pezzettino impercettibile
della laurea in ingegneria di Lorenzo, è anche mia. Ma lo sappiamo solo
io e lui: è il nostro segreto. Il prossimo anno sarà la volta di
Ermanno. Sociopatico, bulimico a soli 12 anni, ritardo grave diceva la
diagnosi in mano alla sua insegnante di sostegno. Voleva fare il
contadino, voleva coltivare semi e vederli trasformarsi in foglie verdi.
Nel retro della ludoteca cominciammo a piantare la liquirizia,
strappando al tufo pezzi di terra coltivabile. Facevamo innesti e talee,
venne fuori un giardino prezioso che quando venne scoperto dal sindaco
lo recintò affinché tutti potessero guardarlo. Si laurea il prossimo
anno in scienze forestali. Qualche mese fa ho ricevuto una mail con la
foto di Emiliano. Era con una bella ragazza bionda e un bambino grande
quanto il suo avambraccio. Emiliano era figlio di un incesto, adottato
dalla strada e dall'hashish, venne condannato per tentato omicidio a 16
anni. Venne affidato ai servizi sociali in misura alternativa al
carcere. Lo portai con me a fare fotografie, gli affidai la mia
Yashica FX3 Super2000, una reflex d'annata con pellicola Ilford al suo
interno. Gliela affidai dicendo che era la cosa più preziosa che avevo.
Andavamo in giro e lui la portava al collo come una collana di diamanti.
Un giorno attraversando un fiume scivolò: preferì fratturarsi il polso
pur di salvare la mia macchina fotografica. Adesso fa il fotografo nel Nord
Italia, si è sposato e ha un figlio che si chiama Alessandro. Mi ha
scritto "Ciao zia nanetta, questo è mio figlio Alessandro, è bello più di
me, vero?? Mi somiglia soprattutto in una cosa, ma non la puoi vedere
perché è nascosta dal pannolino!!! Ahahahah lo sai che sono sempre una
testa matta!". Oggi mi ha chiamato la madre di Terminator, la mia stella
spezzata. Sta bene, dopo varie crisi adesso sta bene. Chiede sempre di
me e quando lo fa, la madre dice che sorride. Terminator è una bimba
cresciuta, un'età mentale di 3 anni secondo la stima della psichiatra,
racchiusa in corpo di una donna di 45 anni. Lei è la figlia che il
destino mi ha negato, quella che ti sa guardare nell'anima senza bisogno
di parole. E io lo so che ogni tanto lei ha bisogno di avere mie notizie, e
non gliele nego mai: è il nostro patto suggellato in silenzio mentre mi
stringeva le mani il giorno che me ne sono andata. Ma ho avuto anche
tante sconfitte. Ho perso Rossella, gioviale, sorridente, solare, meravigliosa. L'ho persa in una pineta in riva al mare splendido della
Sardegna, appesa ad un ramo con una corda qualsiasi. Ed io sono stata
cieca, come tutti gli altri, non sono stata in grado di leggere dietro
quella sua risata contagiosa il suo immenso dolore. Ho perso Giacomo,
abbandonato dai genitori, cresciuto in una casa famiglia: ora è
all'angolo di una grande città che chiede monetine per farsi una dose.
Morirà di overdose. E io l'ho perso. Ho perso Laura, venduta dalla madre
per una notte di sesso con una bestia. Aveva solo 10 anni. E non sono
riuscita a farla risalire. L'ho persa nei meandri dannati del sesso,
perché da allora per lei la vita è stata solo sesso, sporco e punitivo. E
ora vende il suo sesso in una lurida strada qualsiasi dell'Italia. Ma
Luciano mi ha scritto "Grazie di tutto". Perché era tutto quello che potevo fare, e a me basta averne salvato
anche solo uno di quei coriandoli destinati al macero. Anche solo uno.
Ma sono tanti e io li rivoglio. Rivoglio un Lorenzo al quale insegnare
qualcosa, rivoglio una Rossella da salvare o da piangere nel silenzio di
un centro diurno, rivoglio una Terminator da stringere mentre sorride.
Rivoglio le mie stelle, che non conosco ancora, che non so dove sono, ma
so che ci sono e che hanno bisogno di me come io di loro. Perché sono
le mie bolle di sapone e bisogna soffiarci dentro con cautela, non
troppo forte perché scoppiano, non troppo piano perché perdono
consistenza. E bisogna proteggerle dal vento, che non soffi troppo
forte, perché sono fragili e si rompono facilmente. E poi quando sono
forti bisogna lasciarle volare, perché sono fatte
per volteggiare nell'aria e dimostrare al mondo che si può danzare magicamente anche in maniera disarmonica. Che lavoro faccio? Mi occupo di bolle di sapone: è un
lavoro bellissimo. Ed io non posso farne a meno. Per questo tornerò in
Italia: a Londra le bolle di sapone sono quadrate e le tengono stipate
in scatole che sanno di caserma e fogli da timbrare. Ma io ho imparato
che non c'è nulla di più appagante che vedere una bolla colorata di
arcobaleno allontanarsi verso il sole. Per questo tornerò. Presto.