martedì 27 ottobre 2020

La paura di tornare a volare

Da febbraio 2020 non ho più viaggiato su treni, bus e aerei, ma solo in auto o traghetto. Per me che prendevo voli e treni come fossero ciliegie, questo è un record traumatico che prima o poi doveva terminare. Stamane sono uscita di casa e giunta in stazione, bardata come neanche Lancillotto nel duello con Meleagant. Alle 9:00 del mattino ad attendere il treno per Milano Centrale c'ero io, un piccione, un signore con un gilet catarifrangente e il capostazione. Mi convinco che forse non si può prendere il treno, che è uscito un nuovo DPCM, che forse il coprifuoco è stato esteso, che la Regione Piemonte ha vietato gli spostamenti o che a breve arrivi Yoda e mi trafigga con una spada laser. Ma invece no, il treno arriva e la vera notizia è che arriva puntuale. Prima di salire ipotizzo di rifugiarmi nel bagno del terzo scompartimento se dovesse esserci la calca di umani. Ma no, neanche quello, il mio spazio vitale è ampiamente rispettato e mai nella mia carriera pluri decennale da pendolare, ho avuto così tanto spazio. La brutta notizia è che i sedili della Trenord fanno schifo come sempre. L'arrivo a Milano mi emoziona: questa città mi ha offerto un lavoro decente al mio rientro da Londra, Milano mi ha preso per mano e mi ha tenuto stretta finché non ero pronta per volare altrove. Vederla dal treno, dopo tanto tempo, mi fa cadere qualche lacrima...mi ricompongo subito ché altrimenti bagno la FFP2. In stazione ci sono corridoi in entrata e altri in uscita, ed io ovviamente sono andata controcorrente: deformazione professionale, subito corretta da un Carabiniere che mi ha inseguito per farmi ritrovare la retta via. Il bus per Linate si rivela ancora più agevole: siamo in 6 su tutto il pullman, fra le quali una meravigliosa signora pugliese che ha offerto dolci fatti in casa a tutti, da mangiare sotto la mascherina e diceva che era più semplice aspettare il bus dopo una cartellata al miele o un bucconotto. L'aeroporto di Linate è quasi spettrale: non c'è bisogno di quei nastri divisori per mantenere la distanza, l'aeroporto è quasi vuoto, siamo davvero due gatti, neanche quattro. E questo fa riflettere su come questa situazione ci abbia trasformato: quei negozi vuoti, l'estrema distanza della quale tutti siamo rispettosi, gli annunci così diversi dal solito e noi, con quei trolley pieni di inutilità che ormai abbiamo paura di prendere un volo. Le hostess sono belle, brave e giustamente rigide: a quei pochi che lasciano il naso fuori dalla mascherina (ma perché? PERCHÉ??) li riprendono come alle scuole elementari, e quando non basta parlano al microfono "indossare correttamente la mascherina...si, anche sul naso...signore, ha capito??" così la figura di m...arrone è più epica. Il volo mi rimette in pace col mondo: da qua tutto è piccolo e insignificante ed io mi sento dentro una ciotola di bambagia. Piango quando la vedo da lontano, mi ero scordata l'immagine della mia Casa dall'alto: immensa, maestosa, madre. Si scende una fila per volta, se qualcuno si alza prima del dovuto, l'hostess ti bacchetta al microfono con una flemma simile a quella di Tyson con Holyfield. Ed è strano scendere e non poter abbracciare nessuno quando invece vorrei stringere e abbandonarmi. E trovare la porta di casa spalancata, la luce accesa, mia madre che mi aspetta, col suo sorriso disarmante e i suoi occhi chiari. Ed è crudele non poterla baciare, darle quella carezza che ho annodato nella gola da troppo tempo, mentre lei continua ad intrecciare i fili della sua vita con precisione, passione e ostinazione. E non bastano tutte le lacrime per rimpiangere tutte le volte che potevo abbracciarla e non l'ho fatto. 

3 commenti:

  1. Ti ho letto e sai perché? Perché avevo voglia e bisogno di piangere..sapevo che sarebbe stato struggente, bello, commovente e "doloroso", il tuo ritorno a casa.. scrivi così bene, scrivi con il cuore.. e mi sono sciolta.. Grazie. dolly

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