Ieri mattina sono andata a lavorare nelle
stanze degli incontri. Una giornata dove il mio tasso di rincolemia
era ai massimi livelli: reduce da una notte di chiacchiere con Alex e
Steven, finita tardissimo e alle 11 sono entrata a lavoro col mezzo neurone
ancora in catalessi. Col mio sorriso da emiparesi ho cominciato a
preparare il caffè. Non avevo aperto Twitter (inesauribile fonte di
informazioni per gli italiani all'estero) non pensavo minimamente
all'Italia. Da un po' di tempo mi sforzo di pensare in inglese.
Immagino discussioni in inglese, cerco parole che mi
mancano e provo a ripetere mentalmente, soffiando improbabili suoni,
al fine di immagazzinarli nel mio encefalo forato. Dopo pranzo entrò
Setayesh. Era diventata importante col passare del tempo. Splendida,
eterea e diafana nel suo essere maledettamente scura. Un rapporto di
parole non dette, di sguardi, di pelle, di protezione reciproca e
similitudini che si intersecavano in chissà quale terra di nessuno.
Mi disse che un ragazzo italiano di 19 anni era stato ucciso a
Madistone, nel Kent, da un gruppo di ragazzi che avevano accusato lui
ed il suo amico di essere italiani arrivati in UK a rubare il lavoro
agli inglesi. Il primo pensiero è stato verso la madre di quel
ragazzo, gli amici, i parenti, che lo hanno visto partire con una
valigia di sogni e lo avrebbero rivisto dentro una scatola di legno,
chiuso insieme ai sogni spenti. Pensai a mia madre e a tutte le madri
che vedono partire i propri figli e guardando la TV, sentono il nome
di una città, di quella città...all'angoscia che si portano dentro
senza mai poterla esternare, senza mai poter esplodere in un boato di
rabbia disperata: rocce imponenti e sicure, ma friabili se sfiorate
nell'anima. Non riuscivo a dire una parola, incapace di partorire
alcun pensiero. Mi disse che lo aveva detto Bryan, il dirigente della
filiale in Italia, quello che sa tutto del nostro stivale. Era venuto
in reception a riferire la notizia, chiedendo alla boss di essere
comprensiva nel caso mi avesse visto un po' triste o distratta.
Premetto che in quel posto ho visto Bryan una sola volta,
nell'occasione della tragedia di Lampedusa, e non fu un incontro
piacevole il nostro. Ma si era preoccupato per me. La boss aveva
detto che ero sorridente come sempre, che forse non lo sapevo, e
Setayesh aveva detto che si sarebbe occupata lei di dirmelo. Aggiunse
solo poche parole. Ti capisco, mi disse, lasci la tua terra ma
comunque te la porti dentro, e ogni cosa ti ferisce perchè non puoi
far niente, sei sola e devi andare avanti...questo posto è
accogliente, aggiunse, non badare a queste cose, prendi il meglio che
puoi e dai il meglio di te, e non andare via da qua finchè non hai
dimostrato a te stessa che puoi vincere anche contro i fantasmi. You
can win against ghosts, sweetheart, you can, remember. Nella
solitudine di quella stanza cercai su
Internet qualche notizia. 19 anni, cazzo, 19 anni, un bambino! A 19
anni avevo un diploma fresco in tasca, lavoravo, risparmiavo soldi
perchè volevo andare all'università dopo qualche anno. Studierò,
pensavo a quell'età, imparerò tante cose e aiuterò gli altri,
voglio fare questo da grande. Avevo un materasso soffice di sogni che
mi esplodeva sotto i piedi, avevo ancora tante lacrime da farmi
scivolare addosso e tanti treni da perdere. E nonostante tutto di
quell'età ricordo solo ed esclusivamente una cosa: la sensazione
irripetibile di avere il mondo fra le mani. Mi sentivo potente, come
se nulla al mondo potesse scalfire la mia sicurezza, mi apparteneva
l'universo intero, lo sentivo mio ed ero convinta di poterlo
cavalcare con la stessa facilità con cui accarezzavo il vento,
regalando alla brezza il lusso di spettinarmi i capelli. Ero questo a
19 anni: la testa sui libri, sudore di lavoro, le mani su una
sigaretta, al collo una macchina fotografica, i piedi in qualunque
strada, a calpestare tempo e destino come fossero inutili coriandoli
da sprecare, gettandoli nell'aria come la cattiva sorte. Appena
Google mi diede risposta, vidi la foto di quel ragazzo ucciso di
botte in un qualsiasi appartamento del Regno Unito. E non ebbi il
tempo di piangerlo. Cominciò un incessante andirivieni di persone
nel mio backoffice, che volevano farmi sapere che loro no, non erano
così. Tutti, venivano e mi dicevano che loro non pensavano male
degli italiani, che io ero “great”, “amazing”, “lovely” e
un sacco di altre cose, che sicuramente c'era uno sbaglio, che no,
questo posto non era razzista, ancor meno con gli italiani. Manuel,
la Boss, Dulcinea, Alan, Debbie e altre persone che in questo mese
abbondante di lavoro ho avuto il privilegio di conoscere, si
avvicendavano in quella stanza a dirmi che loro non la pensavano
così. Li vedevo scusarsi come se fossero stati loro quelli feriti a
morte, in un punto vivo e vitale, come se quella morte fosse un'onta
di vergogna che li stava sommergendo in un giorno qualunque di
ottobre, insieme alle foglie che cadevano nel parco di fronte alla
mia finestra. Bryan venne a trovarmi nel pomeriggio. Mi aggiornò
sulle indagini. Forse lituani, solo uno inglese, storia intricata,
ancora buio. Ma non cambiava molto. Ammise che i gruppi estremisti,
le gang, avevano un gran risentimento verso l'ondata migratoria degli
ultimi tempi: spagnoli, italiani e altri. Disse che dalla Spagna e
dall'Italia erano arrivati tantissimi ragazzi, statisticamente più
del solito. Mi spiegò che il suo paese era ambiguo e freddo, ma
sapeva abbracciare. Mi disse che si, erano colonialisti, avevano
fatto la loro fortuna con le colonie, e che si, avevano succhiato il
meglio da ogni posto in cui erano stati, ma no, disse, non siamo
razzisti. Questo paese abbraccia tutti, gli stranieri qua sono una
risorsa, pagano le tasse, mandano avanti l'economia, diceva, la
politica UK vuole che tu lavori, che paghi le tasse e contribuisci
così al benessere di questa nazione. Mi spiegò cose noiose ma vere
di questo paese, pregi e difetti di un popolo che sto ancora
conoscendo. Andò via dicendo: Londra è come la Marmite, o la ami o
la odi, se riesci ad amarla ti darà tanto...provaci! Prima che
scomparisse chiesi: What's Marmite? Si fece una risata e uscì senza
rispondere. Dopo neanche un'ora arrivò un fattorino del supermercato
vicino con un barattolo di Marmite. Lo lasciò in reception e
Setayesh me lo diede. Aprii il barattolo e credetti di morire: una
zaffata di lezzo nauseante invase le mie narici e credetti di
vomitare l'anima e il latte materno che succhiai a 5 mesi. Entrò
Dulcinea e urlò “Woooowww, Marmite!” chiese se era mia, se
poteva mangiarne un po'. Anche tutta per me: fa schifo, fu
la mia risposta in italiano, che Dulcinea capiva perfettamente. Mi
disse che lei aveva imparato a mangiarla dal suo compagno: quando lo
baciava sentiva il sapore di quella crema nella sua bocca, e così
aveva imparato a farsela piacere. Andarono via quasi tutti verso le
18:30. Mi salutarono come se fossero colpevoli, dicendomi qualcosa di
inutilmente straordinario. Rimasi sola. Guardai su Internet, pensai,
piansi, riflettei su tutto. Questo paese mi aveva accolto a braccia
spalancate: dopo 15 giorni avevo un lavoro, persone che mi adoravano
e servizi funzionanti. Si, avevo incontrato persone stupide e
razziste, ma...posso dirlo senza essere tacciata di scarso
patriottismo? La maggior parte erano italiani. Certi italiani
chiamano le donne col Burka “le ninja”, il mio coinquilino
italiano non parla con la mia coinquilina inglese perchè è “negra”.
Per non parlare dell'omofobia: anche a Londra ci facciamo riconoscere
per quella cultura bigotta verso gli omosessuali, in una Londra che è
“la capitale dei froci”, come dice un mio amico gay, gli italiani sono fra i pochi a usare un razzismo omofobo. Dagli
inglesi non ho mai subito nessun attacco per il mio essere italiana,
MAI. Mi trattano con un rispetto persino imbarazzante, al quale non
sono abituata, e divento rossa quando la Boss mi dice che sono lovely
e mi chiama darling o my love. Fanno le battute sugli italiani
esattamente come noi italiani prendiamo per i fondelli gli inglesi
per l'assenza del bidè: sfottò reciproco e innocente. La carta
stampata si diverte a scandagliare i nostri mali, si discute di
politica e siamo noi italiani ad ammettere i difetti e a giustificare
che non siamo tutti bunga-bunga, mafia e Concordia. Ma gli inglesi lo
sanno: questa è una città melting pot, un gigantesco frullatore che
contiene pezzi di frutta da tutto il mondo, qualcuno ha schiacciato
il pulsante troppo a lungo e quella frutta si è mescolata,
diventando poltiglia, omogenea, amalgamata, mescolata come una jam
multicolore e multisfaccettata. I razzisti a Londra? Si, esistono, ma
è dura vita per loro: in questo paese è più facile vedere una
donna col chador piuttosto che una ragazza inglese con i leggins
pitonati, o un uomo col kandura piuttosto che un londoner con
ombrello e bombetta. Esistono gli stronzi inglesi così come gli
stronzi italiani, ma l'allarmismo e la tensione sono figli di questo
tempo caotico e animalesco. La storia del ragazzo 19enne deve far
riflettere però: gli italiani devono rendersi conto che noi siamo
schegge volate via dal nostro paese, e speriamo sempre di venir
accolti, di avere un lavoro o un'ancora a cui aggrapparci, e ci
teniamo a dimostrare che siamo “italiani brava gente”. Siamo
italiani, ne andiamo orgogliosi, e ci fa male essere così tanti, e
ci fa male sapere che abbiamo invaso una terra e ci sorge il dubbio
se davvero non stiamo rubando qualcosa, se diamo fastidio, e ci fa
male sapere che quando da noi arriva una zattera a pezzi qualche
connazionale ci gode e spera che affondino tutti, mentre qua ci hanno
accolto e ci trattano con rispetto. Non sarebbe giusto accusare gli
inglesi di razzismo così come non è giusto generalizzare sugli
italiani: i microcefali leghisti sono pochi, gli italiani che hanno
aperto la porta ai disperati “emigranti” sono tantissimi, e mi sento rappresentata da loro, non dai leghisti. Ci
ferisce quella frase che aleggia nell'aria “avete rubato il
lavoro agli inglesi”. Ci fa male ed è una ferita profonda, e
speriamo che gli inglesi non siano tutti così (e non lo sono) o almeno di non incontrarli mai. Perchè probabilmente
quel figlio di 19 anni è stato ucciso per altri motivi, ma il
problema è reale: siamo qua, siamo in tanti, forse troppi e ce ne
rendiamo conto. E speriamo solo che il nostro essere onesti
lavoratori faccia cambiare idea a quegli inglesi che non ci
vorrebbero qua. Perché in quel ragazzo c'erano i miei sogni da
19enne, c'erano i sogni di tutti gli italiani che vanno via sperando
in un futuro migliore, e qualunque sia il motivo (razzismo? Rapina?
Gang giovanili? Altro?) adesso quei sogni si sono persi dentro una
stanza del Kent, e gli inglesi per bene, tantissimi, si vergognano di
aver bruciato i nostri disegni da incorniciare con una scarica
infuocata di calci e pugni.
Uscii nella hall e indossai il giubbotto,
sentii l'odore della Marmite nel naso: Dulcinea era nei paraggi.
Seguii l'odore per salutarla. La trovai che divorava una fetta di
pane tostato, imbrattato di quello schifo. Ci salutammo con un bacio,
pequeña mia, disse, e mi strinse. L'odore
della Marmite mi aveva invaso...non mi dava più fastidio, in fondo
apparteneva a Dulcinea e a quel bacio forte stampato sulla guancia,
come un francobollo che sai che non potrai mai staccare dall'anima.
Have a nice evening, disse il portiere a piano terra. Goodnight,
dissi io. La sigaretta. L'accendino. Il cellulare
-Pronto? -Ciao mà... -Hai sentito di quel ragazzo? -Si, ma non
credo lo abbiano ucciso perchè era italiano...non si sa nulla, è
confusa la storia... -Stai attenta -A che cosa? -A tutto -Tutto cosa?
-Tutto...sei una brava donna, sai come comportarti, sai farti amare,
forse nel concepimento ti ho inserito una calamita da qualche parte e
sarà per questo che attiri a te tante persone...ma riesci a sentirti
sola anche in mezzo agli amici e alla folla. Stai attenta a questo: a
non sentirti mai sola -Ok mà -Stai andando nel tubo? -Si chiama tube
mà, è la metro -Quella si...Stai attenta a non sentirti sola, se
puoi non tornare, ma se torni mi troverai qua -Ci sentiamo presto
-Stai bene? -Si, mi vogliono bene qua, molto -Anche qua te ne
vogliamo -Lo so
Click.
giovedì 24 ottobre 2013
venerdì 18 ottobre 2013
Italiani: popolo di burattinai, evasori fiscali e...twitteri.
Quando arrivai a Londra mi sono chiesta: cosa penserà di noi questo popolo londinese? Dopo un paio d'ore avevo conferma dei loro pensieri: si materializzavano in una risata accompagnata dalle parole "Bunga-Bunga" o "Schettino". Ovviamente ho comprato subito i newspaper quando andai a fare la spesa. Già, perchè qua le edicole non esistono, i giornali li trovi in qualunque supermercato. Qualcosa che somiglia a un'edicola sono i chioschetti fuori o dentro le stazioni della Tube. La cosa che contraddistingue i quotidiani londinesi da quelli italiani è che sui vari newspaper anglosassoni si parla di tutto. Ma proprio di tutto: dalle pirlate del figlio discolo di Carlo d'Inghilterra (eppure questo Harry a me sta tanto simpatico) alla politica della Cina, dalle pedalate del sindaco di Londra ai giudici di X Factor (quello inglese), dalle storie di bullismo e buonismo alla politica...italiana. Si, parlano anche di noi. Con tutto quello che succede a Londra questi trovano il tempo di occupparsi dei cazzi nostri, incredibile! Perchè ovviamente è preferibile che si scordino di noi, che trovino un posticino nell'oblio e ci schiaffino là dentro. Lo so, voi davvero pensate che al di fuori del nostro perimetro non si sappia niente, tipo "i panni sporchi ce li laviamo in casa"...e le mutande pure che magari è scappata qualcosa...invece questi sanno tutto di noi. Non ci credete?! Faccio parlare le immagini. Spero che qualcuno capisca just a little bit di inglisc (altrimenti Google translate può essere un valido alleato), guardate e capirete perchè quando andate all'estero vi guardano con quella faccia tipo...come dire...quasi come voler dire..."italiani, ma quando cazzo vi svegliate??"
Se pensavate che il termine "Scilipotismo" non avesse varcato le Alpi...sbagliavate. Lo conoscono anche qua. E non è bello, ve lo giuro, non è affatto divertente. Grazie Italia, grazie tante. |
Ci danno anche dei consigli su come liberarci di Berlusconi: non mettetelo al centro dell'attenzione, cazzo, lui ne trarrà vantaggio, pirla che non siete altri! (parafrasi di Sfiggy, of course!) |
L'articolo su Lampedusa è semplice e diretto. Un lungo articolo del Financial Times che analizza la tragedia, la storia di queste vite disperate che scappano da inferni inauditi. Le ultime righe sono dedicate alle polemiche interne della politica, cioè che l'Europa deve intervenire, siamo stati lasciati soli, non sappiamo dove metterli, e via dicendo. Il giornalista del Financial Times risponde che l'Italia non è la piccola Malta ma uno dei 4 grandi membri dell'Europa, e storicamente l'Italia ha sempre esportato italiani all'estero. Ci ricorda che l'anno scorso Germania, Francia, Svezia, Gran Bretagna e Belgio hanno ricevuto molte più richieste di asilo dell'Italia. Persino la Scandinavia, la Svizzera e l'Irlanda hanno un maggior carico di rifugiati dell'Italia. Ci ricordano insomma che siamo in Europa e non possiamo prendere da essa solo ciò che è di buono e chiedere aiuto per ogni accadimento. Gli altri paesi accolgono rifugiati ed emigrati molto più dell'Italia...insomma, arrangiatevi, avete le risorse per accoglierli come tutti gli altri paesi. Forza e coraggio. Forza. Coraggio. Cose che ci mancano. |
Però noi siamo la storia, ebbene si! Cesare è arrivato a Roma, ha visto e ha...twittato! ....Eeeeeehhhhh?!?! |
giovedì 10 ottobre 2013
Fire Drill e figurine Panini
Il Fire Drill a Londra è maledettamente diverso dalle prove antincendio a Roma, ve lo garantisco. Il giorno che nella Cazzius & Brothers Corporation ci fu il Fire Drill, entrai e vidi i miei colleghi tutti assiepati
nella hall. Pensavo che dovesse arrivare Beckham a fare due palleggi con
Victoria Adams che in sottofondo gli cantava if you wanna be my lover.
Andai nel mio back office e accesi la macchina del caffè, fedele
testimone di tutti i miei sbadigli con apertura labiale talmente ampia
da intravedere anche il piloro. Non feci in tempo ad accendere Miss
CaffeZozzo che entrò Manuel. Mi informò che c'era il Fire Drill, una
prova di evacuazione dall'edificio. Serviva come "training" per un
eventuale allarme antincendio o terroristico. Lo scopo era ridurre ogni
volta i tempi di evacuazione, senza che nessuno fosse rimasto dentro a
fare la fine di un marshmallow su un barbecue americano. I understand,
dissi gioiosa, spiegando che avevo già fatto questa esperienza. Infatti
quando lavoravo nelle scuole di Roma facemmo la "Prova antincendio". Fu
esilarante. Ci furono dati opuscoli informativi per preparare i bambini.
Io mi occupavo di una bambina diversamente abile. Le maestre fecero
vedere agli alunni un filmato sul comportamento da tenere durante la
prova. I bambini erano contenti all'idea. L'indomani una mamma
rimproverò la maestra dicendo che invece di far vedere ai bambini
"filmini der cazzo" sarebbe stato il caso "de fà un pochetto de
matematica in più, che serve sempre". La maestra decise allora di fare
delle prove pratiche quando i bambini uscivano in cortile per la
ricreazione. Compito non facile, visto che i bambini scalciavano sulle
scale come puledri pensando a come emulare il cucchiaio der pupone
nell'imminente partitella al campetto scolastico. L'indomani venne un
papà a rimproverare la maestra: fare certe attività anche durante la
ricreazione non era giusto, i bambini dovevano giocare e il gioco era un
diritto del bambino riconosciuto anche dall'Unicef. La maestra mi
guardò e disse “Sai che c'è? Dovesse mai succede un incendio io me pijio
5 bambini a spalla, tu che sei piccoletta ne piji 3, poi torno indietro
e me pijio l'arti, che tanto io so' veloce a core, me faccio i 100
metri in un lampo io!”. Il giorno della prova antincendio i bambini
erano in silenzio in attesa dei 5 squilli di campanella. Io avevo
istruito per bene la mia bambina. La legge italiana stabilisce che in
caso di evacuazione di un edificio i disabili devono essere gli ultimi
della fila, per non intralciare gli altri. Alle 9:58 i bambini
aspettavano il suono della campanella per alzarsi e uscire in fila dalla
classe, davanti ci doveva essere la maestra e dietro io e la mia Perla.
Nel silenzio tombale della classe sentimmo le bidelle litigare su chi
dovesse suonare la campanella. La più anziana diceva che era un suo
diritto, la più giovane voleva suonarla lei perchè non l'aveva mai fatto
-Daje fammelo fa' a me! -E no, io so 'a più anziana, 'o faccio io! -Ma
tu l'hai già fatto, io no, nun puoi fare sempre tutto te oh! -E mica
vojio fa tutto io? A pulì i vetri ce puoi penzà te! -Anfame, pe' spiccià
l'aule nun sei la più anziana, ve'??.... E i bambini ridevano così
tanto che non solo non sentimmo la campanella ma non sapemmo chi vinse
il diritto di suonarla. I bambini si misero in fila, perfetti,
esemplari. Giunti alla porta esterna il bidello (unico uomo della
scuola, peraltro un uomo altamente coricabile devo dire) urlò ai bambini
“Ahò ma chè è sta mosceria?? Sembra che state a fa' 'a processione de
Fracazzo de Velletri!”. E i bambini corsero nell'androne ad abbracciare
quel bidello così tenero che non mi sarebbe dispiaciuto vederlo dietro
una cattedra. I bambini si sparpagliarono, alcuni finirono in IV e altri
in V senza neanche aver preparato l'esamino finale, ci ritrovammo in
giardino dopo circa 17 minuti. Ad onore della cronaca la mia bambina se
ne fregò di tutto, andò avanti per la sua strada, io non la guidai (in
nome dell'autonomia per la quale lotto nel mio lavoro), la seguii a
distanza, e da sola seguì il suo percorso e raggiunse il lato destro del
cortile prima dell'altra metà della classe, che nel frattempo si era
fermata a raccogliere ranuncoli mentre la maestra urlava disperata che
sarebbero morti carbonizzati se non alzavano le chiappe. Diedi a Perla
una Goleador alla Coca Cola, lei era felice e la sua autostima salì alle
stelle. Gli altri bambini erano felici perché mancava poco alla
ricreazione e quindi fu deciso di lasciarli direttamente in giardino per
non fare un altro penoso saliscendi. Fu una bella esperienza, e spero
che in quella scuola non ci sia mai un incendio. Ma nella Cazzius &
Brothers Corporation non fu così. La sirena venne azionata a sorpresa. I
businessman non sapevano che era in programma: la situazione doveva
essere il più reale possibile. Sbadigliavo davanti a CaffeZozzo quando
sentii qualcosa che seccò le mie ghiandole salivari e svegliò anche il
callo sotto il mio alluce destro. Setayesh e Marianne indossarono due
gilet catarifrangenti, e come se fossero state azionate da un
telecomando, chiusero la porta centrale col pass magnetico, si divisero
nelle stanze, fecero uscire i signori. Manuel fece uscire me, recuperò
Dulcinea che si era imboscata in un anfratto, e una centralinista che
stava rovistando in magazzino. Setayesh andò davanti a tutti, mi guardò
mentre passava e disse “Follow me!”. Cazzo, pensai, anche lei è su
Twitter?!? La sirena suonava, non smetteva, urlava e ti trapanava il
midollo, non erano 5 squilli di campana, ma un suono lungo e
ininterrotto. Prendemmo le scale a destra dell'ascensore. Nell'edificio
c'erano 8 scale, ognuno dei 7 piani del palazzi doveva usare quella
stabilita, una rimaneva libera per gli addetti alla sicurezza. La nostra
rampa era stretta, la sirena rimbombava, sentivo il suo eco nella bocca
dello stomaco, il rimbombare dei nostri passi sulle scale era un
tamburo dei Chippewa che suonava dentro la mia milza. Pensavo di
svenire: il suono assordante della sirena avrebbe fatto trasalire anche
Beethoven, mi creava un'angoscia irrazionale come se davvero dentro ci
fosse una bomba pronta ad esplodere. Gli altri erano abituati. La chioma
dei capelli neri di Setayesh danzava disinvolta, la sua andatura
regolare dettava il passo alla lunga fila, statuaria e di ghiaccio,
sembrava che davvero volesse portare in salvo tutte quelle vite che gli
stavano dietro. Non correva, era un soldato, seguita da tanti soldatini
che volevano vedere la strada. Sentii una mano dietro la spalla:
Dulcinea mi disse “No te preocupes mi chica, es todo falso!”. Forse si
era accorta che stavo per crollare a terra come una pesca nettarina in
una giornata di maestrale. Una volta in strada la fila non si ruppe,
arrivammo al vicino parco, ognuno al suo posto, in silenzio. Setayesh
una volta arrivata davanti a una certa panchina del parco, guardò
l'orologio: non male, disse, neanche 5 minuti. Mi ricordo che a scuola
dopo 5 minuti la maestra era sotto il banco cercando di far uscire
Giuseppe, il quale cercava la figurina Panini di Zarate che gli era
caduta dal mazzo. Noi eravamo più cazzari, più easy, ecco. A Londra sono
tutti dritti, precisi e impeccabili. Io quel giorno dovetti prendere 4
pastiglie per il mal di testa.
mercoledì 9 ottobre 2013
A ciascuno il suo Friday. Storie di scarpe e veli di malinconia
venerdì 4 ottobre 2013
Siamo noi i tunisini e gli albanesi che scappiamo con un volo low cost
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