Ieri sono andata a lavorare nelle stanze degli incontri, o le
meeeting rooms se volete che lo dica in inglese. Avevo comprato una
scorta di quotidiani, a parte il Financial Times che lo passa di
default la compagnia per la quale lavoro. Avevo letto le news sul
governo italiano: tutti i titoli erano concordi sull'umiliazione di
“tycoon Silvio Berlusconi”, tradito dai suoi stessi burattini. Il
mio manager Manuel ha fatto una battuta che non ricordo
sull'argomento. Verso mezzogiorno Setayesh, la receptionist, entrò
nel mio back office e disse “Come here”. La seguii e mi portò
davanti al maxi schermo appeso nella hall. Quella TV rimane sempre
accesa, senza audio per non disturbare i businessman che confabulano
nelle loro intime riunioni, ed è sempre sul canale all news della
BBC. Sullo schermo c'era la scritta “live” ad indicare una
diretta. Erano in Italia e sullo sfondo si vedevano uomini raccolti
dentro sudari che sembravano di plastica, come spazzatura, pronti per andare in un altro
inferno. Guardavo e non capivo le parole, ma non serviva: le immagini
erano molto eloquenti. Pochi minuti dopo è arrivato Manuel e
Marianne, l'altra receptionist, si sono fermati. Anche loro in
silenzio. Poi è arrivata la mia boss, irlandese. Eravamo tutti in
silenzio. A Londra si impara ad essere composti anche nel dolore. Marianne ha sussurrato “Oh my God” e
aveva gli occhi lucidi. Io avrei voluto essere là, in Italia, per
piangere sulla mia terra, per lavare con le lacrime quel dolore di
quel bambino, di quelle donne e uomini che cercavano la libertà e si
son trovati dentro una galera del mare. La mia boss mi mise la mano
sulla spalla, mi ha detto qualcosa, ma non capii, non importava,
voleva dirmi che le dispiaceva, ne sono certa. Gli uomini in abito
scuro, legati al guinzaglio della loro ventiquattrore, cominciavano a
entrare. Vedendoci davanti allo schermo si fermavano. La parola “God”
usciva anche dalle loro bocche, e si fermavano a commentare. Tornammo
ognuno ai nostri compiti. Dopo mezz'ora ci ritrovammo di fronte allo
schermo, le receptionist, Manuel, la Boss e io. Eravamo tutti
“stranieri” a Londra: Manuel è colombiano, Setayesh iraniana, la
Boss irlandese, Marianne scozzese di padre slavo, e io, italiana.
Passò Bryan, un ragazzo inglese che si occupa del mercato italiano e
cura a distanza la filiale italiana della compagnia. Conosce tutto
dell'Italia, meglio di un italiano medio. Disse qualcosa a proposito
delle polemiche. Non capii, dissi “Sorry? Can you repeat?”. E
disse che alcuni esponenti politici, della Lega per la precisione,
avevano polemizzato col ministro Kyenge e la Boldrini perchè rendono
l'Italia appetibile per gli immigrati. Qualcosa del genere. Manuel
disse “Silly people!”. E non potevo darle torto, la stupidità
dilaga e ne arriva notizia fin oltre le Alpi. Bryan proseguì e con
la precisione di un chirurgo espose la situazione italiana, la legge
Bossi-Fini, il reato di clandestinità, la situazione economica e
politica del paese, e una sorta di razzismo che è nascosto
nell'italiano medio. Capii perfettamente e me ne vergognai. Un
impiegato che passava lì per caso disse “Ma proprio l'Italia è
così ostile?”. Come dire: proprio l'Italia, che ha invaso Londra
da sempre, e ha invaso tutta l'Europa di migranti in cerca di
fortuna? E io mi sono vergognata, e avrei voluto difendere la mia
terra e spiegare che non tutti sono “silly people” e non tutti
sono razzisti, e un miliardo di altre cose che mi stanno facendo
esplodere di rabbia in questo mese di permanenza a Londra. Ma non
sapevo dirlo in inglese, e Setayesh ha intuito i miei pensieri e ha
detto lapidaria “Non tutti gli italiani sono uguali, non tutti gli
iraniani sono uguali e neanche tutti gli inglesi sono uguali”. E
sia Bryan che l'impiegato rimasero inceneriti da quella risposta
secca, da quegli occhi neri che si sono infiammati al mio posto. Ed
io avrei voluto piangere di rabbia. Una immensa e dolorosa rabbia che
mi assale dal 4 settembre, dal giorno in cui ho messo piede in questa
città smisurata che si chiama Londra. E ogni giorno devo dimostrare
che io non sono come Bunga-Bunga man, che io non sono come gli
squatter italiani che occuparono le case sfitte in un qualsiasi
quartiere di Londra, che io non sono spaghetti-pizza-mafia, che non
sono razzista e non sono omofoba. Provengo da un paese meraviglioso
che ha partorito geni assoluti dell'arte e della cultura, da
Caravaggio a Leonardo, da Galileo a Dante, abbiamo tanta di
quell'arte e di quella cultura che potremo vivere solo di quella e
sfamare il mondo intero con le nostre opere ineguagliabili, dei quali
andiamo fieri, anche se sono in mano a un nugolo di pagliacci che
stanno in panciolle mentre tutto va al rogo. Ma siamo un paese
meraviglioso senza memoria storica: abbiamo il negazionismo nel DNA,
neghiamo le atrocità del fascismo così come l'emigrazione post
bellica con le valigie di cartone legate con lo spago. Siamo un paese
di migranti, da sempre: quando ero bambina i miei zii partirono in
Germania, vedevo i miei nonni aspettare una telefonata in un
centralino pubblico e uscire dalla cabina con gli occhi rossi. Poi
sono tornati, come tanti, con un po' di soldi in più, una moglie, un
figlio e tanta strada ancora da fare. Come un foglio di carta carbone
che sbadatamente ho gettato nella mia strada, mi sono ritrovata a
ricalcare le orme dei miei zii, anche se la rotta è stata Londra e
non una pizzeria di Francoforte. Non sono andata via perchè non amo
l'Italia ma perchè la amo troppo, e mi distrugge vederla ridotta in
brandelli da una politica insulsa e nauseabonda. Andare via
dall'Italia significa sentirsi rifiutati, come una madre che scaccia
dal suo seno il proprio figlio. E non importa se tutti sappiamo che
non è una buona madre: rimane quella alla quale vorremmo tornare,
come un figlio con la sindrome dell'abbandono. Perchè siamo stati
sputati fuori dalle fauci di questa nostra patria come caramelle dal
gusto amaro e cattivo, incapaci di dare piacere ad un paese che è
saturo di noi. E siamo andati via pur di non perdere la nostra
DIGNITÀ di lavoratori, perchè ci siamo ritrovati a 40 anni con uno
stipendio che non copre il budget della spesa mensile per la carta
igienica e il tonno in scatola per campare. E siamo andati via perchè
ci siamo laureati col sudore, abbiamo intascato il nostro 110 e lode,
per poi ingrassare l'illustrissimo corpo dei precari italiani, da 700
€ al mese. E abbiamo chiesto OSPITALITÀ nei vari paesi europei,
americani, asiatici e ovunque nel pianeta. E qualcuno è emerso e ha
così dato lustro all'Italia, ma qualcun altro non ha contribuito ad
un'immagine positiva degli italiani nel mondo. Mentre Rita Levi
Montalcini studiava embrioni al microscopio, aprendo la strada ad
un Nobel stellare, invidiato dal mondo, altri italiani esportavano la
mafia oltreoceano, e chi è venuto dopo ha dovuto difendersi dal
nomignolo Maccaroni-Mafia. E ora dobbiamo difenderci dalla vergogna
politica che ci rende ridicoli nel mondo, ogni giorno c'è un articolo sul burattinaio, lo showman, il tycoon, e quando ci chiedono "Why?", perchè, non sappiamo rispondere, e dobbiamo dimostrare che
non siamo così. Perchè io mi sento esattamente come quei migranti
sul barcone, partita alla ricerca di una dignità umana che mi
consentisse di avere un lavoro retribuito equamente, il tanto che
basta per arrivare a fine mese senza dover contare gli spiccioli prima di
fare la spesa. Ho solo avuto la fortuna di non dover prendere una
zattera fatale ma un qualsiasi volo economico della Ryanair, con un
trolley che chiudeva dentro quattro stracci e la voglia di un
biglietto di ritorno. E nel fare la valigia da imbarcare ho imparato
che tutto ha un peso, che i 20 kg ammessi li superi con 2 libri, una
macchina fotografica e un album di fotografie sgualcite che
rappresentano il sentiero contorto che hai costruito in 40 anni. E
vorresti che tutto fosse più leggero per poterti portare dietro la
sciarpa che tua madre ha creato per te alle elementari, o le lettere
di tuo fratello quando stava male, o la sabbia della mia isola avara
e meravigliosa che mi porto nell'anima...e invece lasci tutto sparso
sul letto della tua camera, chiudi il trolley e i suoi 20 kg di
amarezza e scappi via, ché il volo non aspetta. Mi sento umiliata e
offesa per le parole di pochi stolti, per una legge iniqua che
punisce i disperati, per le parole velate di razzismo della gente
comune: mi sento offesa perchè quando sono partita dalla Sardegna ho
trovato Roma, con le sue braccia grasse da massaia mediterranea, ad
accogliermi come una figlia maledetta che ha bisogno di volare. E
quando sono arrivata all'aeroporto di Stansted ho trovato due amici
con un sorriso largo, un divano pronto, una Londra che mi regalava un
raggio di sole, una casa e un lavoro dignitoso, dove in 15 giorni
guadagno quanto un mese in Italia. E Londra mi ha accolto con i suoi
tentacoli scivolosi, che sanno di pioggia e pudding, che mi nausea,
ma che mi fa vivere DIGNITOSAMENTE. Quella dignità che non mi ha
dato la mia patria l'ho trovata qua, e mi chiedo come mi sarei
sentita se questa nazione, questa città, avessero usato per me lo
stesso ostracismo che oggi hanno alcuni politici e connazionali per i migranti.
Perchè non si deve pensare che tutti gli italiani all'estero danno
orgoglio all'Italia con un Nobel o un Oscar: abbiamo anche regalato
al pianeta fior fiore di delinquenti che hanno insozzato il buon nome
dell'Italia fuori dalla patria. E allo stesso tempo il mondo è pieno
di italiani che lavorano sodo, onestamente, facendo la pizza,
cucinando una carbonara senza guanciale o guidando un autobus di
linea. È questa una buona parte degli italiani: lavoratori onesti e
dignitosi che devono difendersi e dimostrare che siamo brava gente,
che abbiamo solo bisogno di un lavoro, che non siamo mafiosi,
bunga-bunga man o altre cose spregevoli che ci vengono incollate
addosso come un francobollo stantio. E amo questa mia Italia, la difendo a
spada tratta, appendo il tricolore alla mia parete anche se non ci
sono i mondiali, e lo faccio a nome di tutti gli italiani onesti che
vogliono dimostrare al mondo che siamo persone per bene, gente onesta
che ha voglia di lavorare. Perchè io rappresento tutte le persone
oneste che scappano in cerca di una vita migliore, sono quel bambino morto nel barcone a Lampedusa, sono l'albanese sul gommone
che non è riuscito ad arrivare in Puglia, sono tutte le persone che
sono scappate e hanno inciampato su un filo spinato trovando
l'inferno al posto della dignità. E in questo mio sfogo c'è tutta
la rabbia verso un paese che ha la memoria corta, che si dimentica
che i suoi figli sono in giro per il mondo, alcuni sono delinquenti ma altri fanno lavori dignitosi e
vengono trattati con rispetto quando lo meritano. Ho un manager che
la mattina mi fa trovare un the caldo e un cupcake quando entro a
lavoro, ho una Boss che si incazza se io non prendo la pausa e mi
urla “take a break!”, ho una receptionist iraniana che mi porta
gli snack e me li fa trovare davanti al monitor, e ogni giorno esco
da lavoro e mi ringraziano per aver portato 4 thermos del cazzo di
caffè, e mi ringraziano che vado a lavoro “clean and tidy”
perchè pensano che potevo anche fottermene, non andare a lavoro o
andarci sporca e disordinata. E quindi grazie per l'aiuto, for help
us, thank you che sei venuta a lavorare, thanks a lot perchè sei
venuta clean and tidy, pulita e ordinata. Non faccio niente di
straordinario: porto caffè a della gente che parla di affari. Ma lo
faccio onestamente e vengo trattata con rispetto, gentilezza e
cortesia, cose alle quali non sono abituata e mi imbarazzano. E come
me tutti quegli italiani che lavorano in una cucina o in una sala di
un qualsiasi ristorante, che vengono trattati col guanto di velluto,
eppure fanno dei lavori che in Italia sono svolti dagli albanesi, dai
rumeni, dai bengalesi. Solo che in Italia questi sono “gli
stranieri che ci rubano il lavoro”, ma prendono 500 € al mese e
quando fanno cazzate (esattamente come gli italiani all'estero) è
perchè sono gli stranieri che delinquono. Io vi porterei qua, a
viverci in mezzo a questa città melting pot, dove GLI STRANIERI SIAMO NOI, e siamo noi che dobbiamo difenderci dal cattivo nome che
ci portiamo dietro, e dover dimostrare ogni giorno che non siamo solo
dei silly people, mafiosi o evasori fiscali. Qua siamo noi i negri, i
rumeni, i bengalesi: la differenza è che qua veniamo pagati bene e
ci trattano con rispetto. E non è una differenza da poco conto, proprio no: ci accolgono, non ci rifiutano e non ci lasciano marcire in un mare di disperazione. Non
tutti gli italiani all'estero vinceranno il Nobel, ma sono i kitchen
porter di un ristorante a Totthenam Court Road, runner in un pub di
Soho, cleaner di un Pret-a-manger di Green Park, housekeeping di un
Hotel nell'Embankment. O la ragazza del caffè nelle stanze di
incontri...che trattiene le lacrime di fronte a una tragedia, che
difende la sua terra e, nonostante tutto, è orgogliosa di essere
italiana. E ogni mattina mi alzo, leggo i giornali e aspetto di
leggere che stiamo migliorando, aspetto di sentire che c'è bisogno
di me in quello stivale storto. E tengo da parte i soldi per un
biglietto di ritorno...per quando piangerò e non potrò più fare a
meno di sentire sul mio viso le mani di mia madre, degli amici, della mia gente, che regalano alla mia pelle la sensazione indicibile di una splendida carezza ITALIANA.
Non serve aggiungere altro mia cara,ogni parola, ogni virgola, sono al posto giusto.
RispondiEliminaAnche se sono in Italia, le emozioni, i sentimenti che affollano il mio cuore sono simili ai tuoi.
Un abbraccio :-*
Mi sono sfogata, perchè davvero a volte ci manca il senso della realtà...di come siamo noi all'estero...essere dall'altra parte della barriccata. E non è facile :-*
EliminaHo pianto leggendo il tuo post, BUONA FORTUNA!
RispondiEliminaUna storia qualunque di tantissimi italiani all'estero...e non è facile iniziare...anzitutto ci si deve difendere da chi ci precede o ci perseguita. Grazie.
EliminaComplimenti piccola Sfiggy, quello che ho letto mi ha fatto emozionare. Ti abbrraccio.
RispondiEliminaGrazie, lo tengo stretto questo abbraccio ;-)
Eliminache incredibili verità, mi viene da piangere leggendo il tuo post perchè sembra di vedermi riflessa.. sarda a madrid, lavoro onesto e pagato bene, diritti rispettati rispetto a quello che in italia avrei potuto trovare.. ma mi manca da morire la mia terra, la mia famiglia, non poter vedere ogni giorno il sorriso di mia madre.. un abbraccio forte..
RispondiEliminaPer fortuna non sono la sola a vivere questa esperienza....ci meritiamo un "in bocca al lupo" a vicenda ;-)
EliminaTi ho letta e ti trovo molto nell mie corde. Non sentirti però mai da meno di nessuno, in quanto italiana. Ogni popolo ha le sue vergogne e i suoi scheletri nell'armadio. Berlusconi ha le sue colpe, ma è diventato anche il capro espiatorio di tutti i mali del mondo. Non è così, o saremmo fortunatissimi e tutti i mali del 'mondo' sarebbero risolti. Il nostro Paese è fatto da gente come te, me e la gente di Lampedusa. Chi ci critica avrebbe sparato addosso a quei poveretti. La Spagna lo ha fatto, la Francia non è certo da meno. Rialziamo la testa e fanculizziamo a dovere chi parla a sproposito. Quindi sii fiera , già lo sei di tuo. Tu sei una bella persona e non sei la sola in questo Paese, per fortuna:)
RispondiEliminaIo sono orgoliosa, nonostante tutto, di essere italiana. Un abbraccio :-)
EliminaPiango.
RispondiEliminaPiango per chi deve allontanarsi dagli affetti e dalla propria terra,per poter vivere dignitosamente.
Piango perchè devono lottare per dimostrare il loro valore, con sofferenza.
Piango per coloro che pagano col dolore o la morte la "colpa"di essere nati nel posto "sbagliato".
Piango perchè sono una madre che ha la figlia lontana e la vorrebbe abbracciare .
Sono emigrata anch'io, ora all'eta di 50 anni per mantenere unita la famiglia . Sono rimasta in Italia , dal sud sono andata al nord. non sono straniera (nel senso stretto della parola) ma mi sento come se lo fossi, perchè questa non è la mia terra.Ho letto il tua bellissimo ed emozionante testo e ho pianto, perchè mi sento come te nonostante io sia rimasta nella stessa nazione. Tutti quelli che sono costretti ad esiliare (in fondo è un po' un esilio il nostro ti pare?) si sentono più vicini tra di loro. Non serve a nulla però piangere. L'unica cosa che faccio è spiegare ai miei figli perchè la gente viene in Italia e che noi siamo fortunati perchè appunto pure essendo emigrati almeno non abbiamo la difficoltà di non capire la lingua, e in fondo in fondo la cultura e le tradizoni sono le stesse. Spero solo che possano costruire una nazione migliore e senza pregiudizi...questo spero. Coraggio giovane amica siamo tutti con te. E grazie per le tue splendide parole!
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