mercoledì 9 ottobre 2013

A ciascuno il suo Friday. Storie di scarpe e veli di malinconia

Quando sentivo le canzoni che menzionavano il famigerato Friday night pensavo fosse qualcosa di astratto, che serviva per fare rima con right o fight, un po' come cuore, amore e trattore. Saggiai la concretezza del Friday nel mio ultimo giorno di lavoro alla Cazzius & Brothers Corporation, ossia nelle stanze degli incontri. Nell'aria c'era qualcosa di strano, qualcosa di friccicarello, ecco. Come se avessero stappato una bottiglia di Veuve Clicquot e l'aria fosse piena di bollicine esilaranti. Cosa c'è allora? Mi rispose “It's Fridayyyyyy!” Ah, ecco. Sembrava che tutti avessero ingoiato adrenalina pura, correvano come pazzi, anche gli uomini d'affari, svolazzavano con la loro valigetta. Dulcinea era stranamente velocissima, neanche una pausa, sfrecciava col suo carrello più veloce di Massa sulla pista di Nurburgring (vabbè che per essere più veloci di Massa basta poco...), Manuel guardava l'orologio ogni nanosecondo, alla boss sembrava che le avessero messo le dita nella presa coi piedi bagnati, tanto era elettrica. Alle 2 la boss venne a salutarmi, mi ringraziò come se quella compagnia fosse in piedi grazie a me e mi disse che ci saremo rivisti presto, e strizzò l'occhio. All'atto di andarsene mi disse che avevo un bel tatuaggio. Diventai rossa come un pomodoro pachino sotto il sole della Sicilia...ma allora l'aveva visto davvero?!? Very nice, disse! Il tatuaggio...era very nice. E se ne andò dimenticando l'ombrello appeso alla maniglia di una stanza chiamata Copenaghen. Manuel alle 3 venne, mi abbracciò e mi chiese se nel weekend avessi fatto bunga-bunga. Ridemmo, e lui mi disse che sapeva che ci saremmo visti presto. Ah si?! Uscì dalla porta che sembrava avesse dietro uno squalo tigre pronto a mordergli le chiappe. Erano tutti impazziti: quel fare serafico degli inglesi si perdeva in un Friday afternoon. Marianne, la scozzese goccia di latte con occhi verdi di smeraldo sembrava avesse dentro una tarantola affetta da crisi compulsive. Irrequieta come mai l'avevo vista. Aveva perso quel suo fare da bambina innocente panna e confetti. Alle 5 spaccate sentii il rumore di una sedia che si schiantava al muro. Uscii e vidi una scarpa nera di Marianne in mezzo al corridoio. Merda, pensai, questa si è schiantata contro qualche porta a vetri e ora mi tocca chiamare l'ambulanza, cazzo le dico io all'ambulanza?! Devo dire “Ambulanza, come here because the receptionist si è schiantè alla door??” Mi affacciai e vidi Marianne a 90° sopra uno zaino enorme, logoro. Tirò fuori un paio di scarpe da trekking più sciupate di mia bisnonna, con una coltre di fango sulla suola che sembrava avessero la zeppa. Se le infilò abbinandole alla gonna del tailleur e la camicia coi fiorellini. Si tolse la camicia e rimase con una casta canottiera rosa pisello, sexy quanto un'unghia incarnita. Mi urlò estasiata che andava in campeggio con un gruppo di amici. Urlava: dove nascondeva quella voce così profonda e forte durante la settimana? Indossò una maglietta del gruppo Heavy Metal “Iron Maiden” con stampata la mascotte Eddie The Head: il simpatico mostro creato da Derek Riggs aveva una falce insanguinata in mano, la faccia dolce come la scarlattina e la scritta “From fear to eternity”. Mi salutò con un caloroso abbraccio, corse verso la porta sporcando la moquette di fango rappreso, e Dulcinea le lanciò un urlo in spagnolo del quale capii solo “Puta”, e al quale Marianne rispose con un sorriso farcito di 12.573 fuck. Rimasi con la scarpa in mano a pensare a quella ragazza che sembrava l'incarnazione della purezza vergine, e ora sembrava uscita da un libro a metà fra Le notti di Salem e 20mila sfumature di wurstel. Setayesh rideva, disse che era un po' pazza, crazy, ma just a little bit. Dopo circa un'ora mi venne a trovare Setayesh. Mi disse “Listen”e cominciò a scandire le parole, chiare...ah se tutti gli inglesi parlassero così! Mi disse se avevo voglia di lavorare un'altra settimana, che la ragazza non stava bene e lei doveva prendere 3 giorni di ferie ed erano necessari degli spostamenti, insomma cose complicate che finirono con: Are you available? Si, sono available. E non seppi dire altro. Mi disse che quel giorno le toccava rimanere un'ora in più e quindi saremo andate via insieme. Mi aspetti? Disse con un sorriso assurdo. Yes, aspetto. Mi faceva comodo un'altra settimana di lavoro. L'agenzia per la quale lavoravo mi chiamò e mi chiese cosa era successo, che era la prima volta che quella compagnia di permalosi teneva un loro cameriere così a lungo. I don't know, risposi. Mi era sembrato di capire che Setayesh avesse giocato un po' di carte con le sue ferie. Ma era una sensazione. Andai al piano di sotto per salutare Dulcinea e la trovai che puliva le scrivanie vuote. Era tutto vuoto: tutti erano scappati alle 6 di pomeriggio quando generalmente alle 8 erano tutti là che guardavano grafici e diagrammi ad minchiam. Perchè sono andati via? Dulcinea urlò “Fridayyyyy”. Impazzita, aveva già finito tutto il piano. Le dissi che rimanevo anche la prossima settimana. Lo sapeva, disse, Setayesh è una gran donna, e strizzò l'occhio. Cosa fai questo weekend, mi chiese. Vado in qualche museo, risposi. Si fermò come se avesse visto un pitone attorcigliato all'aspirapolvere. Devi conoscere qualche chico e andare a bailaaaar, mi disse, e sfumò tutto con una risata che sapeva di cipria e tenacia. Uscii da lavoro e aspettai l'ascensore con Setayesh. Le dissi thank you, senza aggiungere altro. Lei disse che era giusto che io rimanessi un'altra settimana. Mi disse che andava in ferie, che alla boss aveva detto che aveva delle visite ma in realtà era il suo anniversario di matrimonio e andava fuori col marito, mi guardò negli occhi, mise il dito sulle labbra e fece “sssshhh”. Non dire niente. Entrammo nell'ascensore stracolmo. Le dissi “Why?” intendendo perchè le stavo così simpatica. Non c'era bisogno che le dicessi tante parole: sembrava che i miei pensieri si materializzassero e lei li leggesse ancor prima che io riuscissi a formularli in inglese. Perchè io e te siamo “similar”. Feci una faccia che voleva dire “in che senso?”. Look, disse, e mi indicò lo specchio dell'ascensore: eravamo nere, due schegge nere d'ebano in mezzo a una matassa di bambagia, a 8 persone color latte, bionde e con occhi chiarissimi. Paradossalmente eravamo noi quelle che risaltavano di più in mezzo a quel mare candido. Mi scoprii incredibilmente scura, i miei capelli neri, gli occhi scuri, le labbra rosse, la pelle abbronzata dal sole della Sardegna...si, eravamo simili, uguali: entrambi nere in mezzo a un gruppo di persone che potevano fare da testimonial a qualche marca di candeggina. Prima di attraversare la portineria si fermò. Prese il grande foulard nero che aveva sempre al collo, lo tirò su, si coprì la fronte, mise dietro le orecchie il boccolo di capelli e nascose tutto sotto quel tessuto morbido, lo avvolse intorno alle guance, lo fece girare intorno al collo...e Setayesh venne assorbita come una goccia d'inchiostro da un chador improvvisato. Ssshhhh, disse, e mi strizzò l'occhio, e keep in touch, take care, mi disse. E corse fuori dove c'era il marito che aveva in mano 2 tazze di caffè Costa e un sorriso disarmante. Prima ancora che riuscisse a salutarla un esserino minuscolo le volò incontro e si incollò al suo corpo come una pioggia estiva. Lo prese in braccio e il bambino le stringeva il collo e rideva, lei lo baciava. E andò via incontro al suo Friday così diverso da tutti gli altri, scomparve dietro l'angolo con quella vita tenera appesa al collo, come un ciondolo prezioso che rende meravigliosa la tua esistenza. Restai ferma a pensare al mio Friday. Accesi il cellulare, trovai vari SMS, messaggi di Whatsapp e delle chiamate su Viber. Non risposi a nessuno. Feci il numero di mia madre. -Pronto? -Ciao mà -Ciao...e tu?! Avevi detto che chiamavi domenica? Cosa è successo? -Niente, volevo solo salutarti e dirti che ti voglio bene -Ma... CLICK. Chiusi io e piansi. Anche il mio Friday era diverso dagli altri.


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