Le bugie delle stanze di incontri
Senza molta fretta decido di cercare lavoro a Londra. Un esiguo
gruzzoletto messo da parte mi permette un'autonomia di qualche mese,
tanto da finanziarmi questa vacanza-studio, ma se trovassi un
lavoretto?! Che fai, te ne privi? Oltre ai Job Centre (paragonabili
ai nostri Centri per l'impiego ma straordinariamente funzionanti)
esistono delle agenzie private che ti trovano lavoro part time, un
po' come le nostre agenzie interinali, però funzionanti anche
queste. Così decido di rivolgermi ad un'agenzia, non avendo voglia
di addentrarmi nei meandri di Gumtree e interview varie. Mi venne in
mente di rivolgermi ad un'agenzia italiana, cosa che tutti mi
sconsigliarono. La differenza fra le agenzie private italiane e
inglesi sta nella politica che le supporta. Le agenzie italiane si
basano su questo presupposto: tu, lavoratore, vuoi un lavoro? Bene,
paga 100 sterline e noi ti troviamo un lavoro. Le agenzie inglesi si
basano su un altro presupposto: tu, datore di lavoro, hai bisogno di
un lavoratore? Paga 100 sterline e ti troviamo un lavoratore.
Ovviamente scelsi un'agenzia inglese, completamente gratuita per me
(ma non per chi voleva assumermi) che dopo un test, mi inserì nelle
sue liste, dicendomi che mi avrebbero chiamato quando qualcuno
avrebbe richiesto il mio profilo di cameriera. Esattamente
all'indomani della mia iscrizione ricevetti la telefonata di Willy
dall'agenzia. Mi disse di munirmi di divisa “black and white” e
di andare in un certo posto per una giornata di lavoro. Arrivai
stralunata come chi non ha mai fatto la cameriera nella sua vita,
dimenticandomi che sono diventata Chef de rangue pur di pagarmi gli
studi all'università. Arrivata a destinazione mi chiesi se per caso
non avessi sbagliato indirizzo. Il posto non era un ristorante ma un
grande e splendido palazzo in una via famosissima di Londra. Guardai
il messaggio di Willy sul cellulare: il posto era giusto. Entrai e mi
trovai di fronte una gigantesca hall con uno stewart sdraiabile che
mi accolse. Dissi chi ero e chi cercavo, lo gnocco mi diede un pass
con un numero e disse “third floor”. Un altro mi mostrò i 4
ascensori più avanti. Ma io ero affascinata da tutto quello
scintillare e passai oltre gli ascensori finchè il tipo che me li
aveva indicati non venne a recuperarmi e mi fece entrare in
ascensore. Dove cazzo ero finita?!? Arrivai al terzo piano e ai lati
del corridoio c'erano due porte, una con la scritta che cercavo.
Entrai e mi accolse un ragazzo con un gigantesco “Haaallooooooo!”
mi disse che mi stavano aspettando e che ero persino in anticipo e
che ciò era straordinario. Quel posto poteva essere tutto fuorchè
un ristorante. Quel ragazzo era il mio manager e si chiamava Manuel.
Le receptionist mi salutarono come se fossi la regina in carne e
ossa. Ero confusa e un leggero mal di testa cominciava ad emergere
dal mio cranio in subbuglio. Manuel mi fece entrare in un back office
splendente e mi spiegò il lavoro. Mi disse anzitutto che era
colombiano, che si occupava dell'organizzazione delle “meeting
rooms” nelle quali avrei dovuto lavorare. Coooosaaaaa? Meeting
rooms?! Tradussi alla lettera “stanze di incontri”. Dove cazzo mi
ha mandato Willy? Quel pirlone integrale dell'agenzia per chi mi ha
preso? Dovevo spiegargli che ho appeso la patata al chiodo e io non
faccio certe cose! Meeting rooms?! Che incontri fanno in questo
posto? È un hotel? Ma che hotel? Perchè si incontrano? Manuel si
rese conto della mia faccia da imbecille e capì che non avevo mai
sentito parlare delle “meeting rooms”. Mi spiegò che in quel
posto i businessman si incontrano per affari. Per la cronaca la sera
stessa con una semplice Googlata scoprii che Londra è piena di
Meeting Rooms, c'è persino un sito simile ad Hotel Bookers che ti
cerca le Meeting Rooms più fighe o più economiche della City.
Quando lo scoprii mi sentii profondamente ignorante. Ma ancora non lo
sapevo e il discorso del mio manager Manuel non mi convinceva. Mi
spiegò il mio compito: visto che ero italiana dovevo fare il caffè
e mi presento una macchina oscena da dove usciva quell'acqua brodosa
e puzzolente che osano chiamare caffè. Mi sentii offesa e riuscii a
dirgli in un inglese orribile che noi italiani facevamo il caffè
“espresso” non questo caffè. Sorrise e mi disse che avevo
ragione, anche se a suo dire il caffè colombiano era migliore.
Lascia perdere bello de zia, che è meglio, dissi fra me e me. Mi
presentò il mio monitor dove c'erano una ventina di colonne, a
ciascuna corrispondeva una stanza, ciascuna aveva il nome di una
capitale, quando c'era un meeting compariva un pallino blu o bianco:
blu clienti esterni, bianco interni che incontravano esterni. Nel
pallino c'era scritto numero dei clienti, nome e ora di inizio. 20
minuti prima di tale orario io avrei dovuto riempire un thermos
argentato di caffè schifosamente acquoso, uno di acqua calda per un
eventuale the, e portarlo nella stanza ancora vuota. Quando il
pallino diventava rosso significava che la riunione era finita,
dovevo entrare nella stanza vuota, prendere i miei thermos e uscire
in attesa di altri pallini blu, bianchi o rossi. Lo guardai come se
mi stesse pigliando per il culo in maniera paradossale, e gli chiesi:
e poi? E poi “stop” mi disse. Non mi convinceva, questi cazzo di
incontri....mmmhhhh....puzzavano strano, non è che fra un thermos e
l'altro dovevo fare la danza dei 753 veli? O andare sotto la tavola
rotonda per cercare la spada di Re Artù? Manuel mi fece fare un giro
nelle 25 stanze coi nomi delle capitali mondiali: con mio grande
disappunto non c'era Roma, ma in compenso c'erano Firenze e Venezia.
Feci il primo caffè, andai a Barcellona e portai i thermos. Dentro
non c'era nessuno, a parte un tavolo splendido, delle sedie girevoli,
un divano, un frigo bar, delle tazze, the e zucchero sul tavolo,
fiori freschi sul ripiano e un panorama mozzafiato dalla finestra.
Non era possibile che il mio lavoro consistesse solo in questo. Nella
prima ora di lavoro la noia si tagliava a fette spesse come un Pan di
Spagna farcito di crema Chantilly. La ragazza spagnola che passava
dopo di me doveva ritirare le tazze e pulire la stanza (da cosa
doveva pulirla?! Era più sterilizzata della rianimazione del
Gemelli!) ma spesso non c'era: la vedevo appesa al cellulare,
messaggiando forse col principe color puffo. Quindi le prime volte
portavo via le tazze, considerando che non avevo una beneamata
minchia da fare. Quando mi vide portare via le tazze, venne da me e
si presentò: si chiamava Dulcinea ed era spagnola, dell'Estremadura
per l'esatezza. Mi ringraziò anche in cirillico per aver portato via
2 tazze. Io non sapevo cosa rispondere: erano 2 tazze del picchio,
santi numi! Non stavo facendo niente e pensavo di morire di noia,
ancora non credevo che mi pagassero per non fare un cactus in quelle
ore di lavoro! I signori incravattati si succedevano, li incrociavo
in corridoio, mi sorridevano, a volte venivano senza prenotare la
stanza, si illuminava un pallino giallo, voleva dire che c'era un
cambio di programma improvviso. Portavo i thermos, bussando prima
alla porta e chiedendo scusa, e loro mi ringraziavano come se stessi
portando oro, incenso e mirra. Poi venne la mia boss. Una donna
irlandese che dirigeva le meeting rooms di questa immensa azienda. Mi
trovò che preparavo il filtro da 6 litri di caffè visto che stava
per finire. Avevo le maniche della camicia bianca appena tirate su
per non macchiarmi e nel mio polso sinistro risplendeva un cerchio
rosso, visibile come un sacco di torba su valle innevata di soffice
neve. Era il mio tatuaggio della falce e martello su uno sfondo
rosso: il primo dei miei 9 tattoo che porto stampati sul mio
minuscolo corpo. Certo che quel tatuaggio era uno schiaffo sul muso a
tutto quell'estremo capitalismo che circolava in quelle stanze. Non
lo nascosi, la mia boss mi stava alle spalle, sentivo che lo fissava,
mi diceva che aveva saputo del mio arrivo in anticipo a lavoro e che
ciò era lodevole e lo aveva apprezzato molto, e di questo l'azienda
ne avrebbe tenuto conto. Premetto che ero arrivata con 10 minuti di
anticipo e non 27 ore prima. Imbarazzata risposi qualcosa che non
ricordo. Tutta questa cortesia mi devastava: non c'ero abituata. Mi
chiese se volevo fare un break, che dovevo essere sicuramente stanca.
Pensai che da 1 a 10 mi stesse prendendo per il culo almeno 13 o 14.
Le dissi che no, non ero stanca, assolutamente no. Mi disse che
l'azienda metteva a disposizione tutto, tutto era free, potevo
prendere tutto ciò che c'era in frigo, andare nell'altra ala
dell'azienda e prendere ciò che c'era e se non bastava andare al
piano di sotto, sempre dell'azienda, e mangiare nella sala che
l'azienda metteva a disposizione dello staff. Dissi che stavo bene e
la ringraziai. Quando andò via pensai che ci doveva essere una
fregatura: non potevano pagarmi per annoiarmi davanti a una
gigantesca macchina di caffè aspettando che un pallino si
illuminasse sullo schermo e offrirmi anche break e snacks. Mi
chiedevo come potevo spiegare tutto questo a mia madre, le avrei
detto una bugia: mai avrebbe capito cosa sono le meeting rooms e
quale fosse il mio ruolo! Comunque era solo un giorno, una bugia di
un giorno non fa mai male (maledetto retaggio culturale cattolico che
impedisce al mio ateismo di dire comunque bugie!). Verso le 4 di
pomeriggio arrivò il manger Manuel, mi disse se l'indomani avevo
impegni di lavoro. No, non ne ho, perchè? Perchè la ragazza che
aveva preso un giorno di malattia per visite mediche in realtà ne
aveva preso due. Quindi la boss lo aveva chiamato e gli aveva detto
che era molto contenta di me, lui le aveva confermato che anche a lui
piacevo molto e avevano telefonato in agenzia chiedendo se l'indomani
potevo andare nuovamente io, perchè ero perfetta. La mia risposta fu
“Ah”. E pensai a mille cose, al mio tattoo che era stato visto ma
che non era stato discriminante, al mio inglese impreciso e
cacofonico a cui non avevano dato peso, alla cortesia estrema che
tutti avevano usato...ed io mi sentivo così imbarazzata, non essendo
abituata a venire ringraziata per svolgere un lavoro per il quale mi
pagano. Uscii da lavoro frastornata e chiamai mia madre. Riporto di
seguito la telefonata integrale:
-Pronto? -Ciao mà -Oh ciao, com'è? -Bene, stavo lavorando -Dove?
-Ehm...in un fast-food...diciamo particolare, ecco -Particolare? Come
particolare? Perchè? Com'è? Che succede? -Niente! È un
fast-food...per pochi intimi diciamo -Che vuol dire? Dove sei finita?
-Eccheccazzo, lasciami finire oh! Niente, il punto è che servo solo
caffè in questo fast-food, punto! -Solo caffè? Perchè? E il resto?
Perchè particolare? Per pochi intimi? In che senso intimi, poi?? -Oh
ma niente, è un fast-food aziendale ecco e quindi... -E che azienda?
-Ma non la conosci! È inglese, già non conosci le italiane! -Ma
cosa fai tu in quel posto oltre al caffè? -Niente, solo caffè!
-Come solo caffè?? Ma che fast-food è questo?? -Di un'aziendaaaaa!
E ci devo andare anche domani perchè al manager sono piaciuta e....
-Come al manager sei piaciuta??? Chi è il manager? Che manager? -Il
manager è il mio superiore, è un colombiano che... -Colombiano??
Quelli della cocaina?? -Ma cazzo, che discorsi razzisti! Non è che
tutti i colombiani tirano piste quanto l'autodromo di Monza e
sculettano come Shakira eh! Ti ricordo che la Colombia ha partorito
anche quell'illustre premio Nobel di Gabriel Garcia Marquéz. Santi
numi, togliti quel castello medioevale dalla testa e vedi di non fare
del razzismo gratuito! -Ma non è razzismo, era un'esclamazione...di
fatto com'è che sei piaciuta al manager? Perchè? -Oh senti, sto
finendo il credito, ti chiamo domani che sto entrando in Tube e non
prende -In tubo? Quale tubo? Cosa stai prendendo?! -Noooo la tube, la
metro, capisci? -No, non capisco, ti richiamo se non hai soldi,
aspe.. -No, non aspetto, ciao a domani, sto bene, sono una brava
ragazza, guardo prima di attraversare la strada e stasera mangio
leggero, ci sentiamo domani -Ma in che tubo devi entrare? O era
tunnel? Fammi capire... -La metrooooooooo! Sto entrandooooo! A domani
mà! -Ma chi è il manager? È perchè pochi intimi? Ma che
fast-foo..... -Ciaooooo cilck!
Non oso pensare a cosa sarebbe successo se avessi detto “mamma,
oggi e domani lavoro nelle stanze di incontri: era la volta buona che
mia madre veniva a bordo di un cormorano motorizzato, a prelevarmi
dalle grinfie della perfida Albione e a trascinarmi per i capelli in
Sardegna, relegandomi a vita dentro il nuraghe reale di Santu Antine.
Diciamo la verità: le bugie servono a regalare alle mamme un sonno
sereno, e se ci fosse un Dio oggi mi strizzerebbe l'occhio e direbbe
“Brava Sfiggy, portami un caffè che quassù fa freddino”.
MMMMH....Allora mia figlia da Londra mi racconta anche lei bugie...Così dormo fessa e contenta !? Ma va bene così ...Tanto non potremmo far nulla, se non ricordarvi di aprire gli occhi e tenere ben saldo il timone! Auguri e Buon..Lavoro ?!..
RispondiEliminaNessuna bugia cattiva...solo bugie bianche, lo sai anche tu ;-)
EliminaLetto tutto d'un fiato. Incredibile... un mondo sognato da tutti e reale. Bellissima avventura :)
RispondiEliminaSulle condizioni di lavoro sono anni luce più avanti di noi. Incredibile l'enorme cultura del lavoro di questa città!
EliminaMa dirle che hai fatto la Cameriera in un posto dove si fanno riunioni di lavoro no??
RispondiEliminaMa dirle che hai fatto la Cameriera in un posto dove si fanno riunioni di lavoro no??
RispondiEliminaSi, sarebbe stato più semplice...ma la prima a vederci qualcosa di strano ero io...non sarei stata convincente! Abituata a lavorare con turni massacranti non pare vero stare ferma per ore e venire pagata!!!
EliminaCiò che scrivi riguardo la "cultura del lavoro" di lì conferma quello che dicono due miei amici che lavorano parte dell'anno in Inghilterra. Sintetizzando: è tutta un'altra cosa :-o .. E se qua in ItaGlia continua così -e stante la mia situazione disoccupazionale-, mi sa che tra non molto pure io e Claudia dovremo volare là :-/
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