giovedì 24 ottobre 2013

Sentirsi stranieri, feriti da parole nauseanti come la Marmite

Ieri mattina sono andata a lavorare nelle stanze degli incontri. Una giornata dove il mio tasso di rincolemia era ai massimi livelli: reduce da una notte di chiacchiere con Alex e Steven, finita tardissimo e alle 11 sono entrata a lavoro col mezzo neurone ancora in catalessi. Col mio sorriso da emiparesi ho cominciato a preparare il caffè. Non avevo aperto Twitter (inesauribile fonte di informazioni per gli italiani all'estero) non pensavo minimamente all'Italia. Da un po' di tempo mi sforzo di pensare in inglese. Immagino discussioni in inglese, cerco parole che mi mancano e provo a ripetere mentalmente, soffiando improbabili suoni, al fine di immagazzinarli nel mio encefalo forato. Dopo pranzo entrò Setayesh. Era diventata importante col passare del tempo. Splendida, eterea e diafana nel suo essere maledettamente scura. Un rapporto di parole non dette, di sguardi, di pelle, di protezione reciproca e similitudini che si intersecavano in chissà quale terra di nessuno. Mi disse che un ragazzo italiano di 19 anni era stato ucciso a Madistone, nel Kent, da un gruppo di ragazzi che avevano accusato lui ed il suo amico di essere italiani arrivati in UK a rubare il lavoro agli inglesi. Il primo pensiero è stato verso la madre di quel ragazzo, gli amici, i parenti, che lo hanno visto partire con una valigia di sogni e lo avrebbero rivisto dentro una scatola di legno, chiuso insieme ai sogni spenti. Pensai a mia madre e a tutte le madri che vedono partire i propri figli e guardando la TV, sentono il nome di una città, di quella città...all'angoscia che si portano dentro senza mai poterla esternare, senza mai poter esplodere in un boato di rabbia disperata: rocce imponenti e sicure, ma friabili se sfiorate nell'anima. Non riuscivo a dire una parola, incapace di partorire alcun pensiero. Mi disse che lo aveva detto Bryan, il dirigente della filiale in Italia, quello che sa tutto del nostro stivale. Era venuto in reception a riferire la notizia, chiedendo alla boss di essere comprensiva nel caso mi avesse visto un po' triste o distratta. Premetto che in quel posto ho visto Bryan una sola volta, nell'occasione della tragedia di Lampedusa, e non fu un incontro piacevole il nostro. Ma si era preoccupato per me. La boss aveva detto che ero sorridente come sempre, che forse non lo sapevo, e Setayesh aveva detto che si sarebbe occupata lei di dirmelo. Aggiunse solo poche parole. Ti capisco, mi disse, lasci la tua terra ma comunque te la porti dentro, e ogni cosa ti ferisce perchè non puoi far niente, sei sola e devi andare avanti...questo posto è accogliente, aggiunse, non badare a queste cose, prendi il meglio che puoi e dai il meglio di te, e non andare via da qua finchè non hai dimostrato a te stessa che puoi vincere anche contro i fantasmi. You can win against ghosts, sweetheart, you can, remember. Nella solitudine di quella stanza cercai su Internet qualche notizia. 19 anni, cazzo, 19 anni, un bambino! A 19 anni avevo un diploma fresco in tasca, lavoravo, risparmiavo soldi perchè volevo andare all'università dopo qualche anno. Studierò, pensavo a quell'età, imparerò tante cose e aiuterò gli altri, voglio fare questo da grande. Avevo un materasso soffice di sogni che mi esplodeva sotto i piedi, avevo ancora tante lacrime da farmi scivolare addosso e tanti treni da perdere. E nonostante tutto di quell'età ricordo solo ed esclusivamente una cosa: la sensazione irripetibile di avere il mondo fra le mani. Mi sentivo potente, come se nulla al mondo potesse scalfire la mia sicurezza, mi apparteneva l'universo intero, lo sentivo mio ed ero convinta di poterlo cavalcare con la stessa facilità con cui accarezzavo il vento, regalando alla brezza il lusso di spettinarmi i capelli. Ero questo a 19 anni: la testa sui libri, sudore di lavoro, le mani su una sigaretta, al collo una macchina fotografica, i piedi in qualunque strada, a calpestare tempo e destino come fossero inutili coriandoli da sprecare, gettandoli nell'aria come la cattiva sorte. Appena Google mi diede risposta, vidi la foto di quel ragazzo ucciso di botte in un qualsiasi appartamento del Regno Unito. E non ebbi il tempo di piangerlo. Cominciò un incessante andirivieni di persone nel mio backoffice, che volevano farmi sapere che loro no, non erano così. Tutti, venivano e mi dicevano che loro non pensavano male degli italiani, che io ero “great”, “amazing”, “lovely” e un sacco di altre cose, che sicuramente c'era uno sbaglio, che no, questo posto non era razzista, ancor meno con gli italiani. Manuel, la Boss, Dulcinea, Alan, Debbie e altre persone che in questo mese abbondante di lavoro ho avuto il privilegio di conoscere, si avvicendavano in quella stanza a dirmi che loro non la pensavano così. Li vedevo scusarsi come se fossero stati loro quelli feriti a morte, in un punto vivo e vitale, come se quella morte fosse un'onta di vergogna che li stava sommergendo in un giorno qualunque di ottobre, insieme alle foglie che cadevano nel parco di fronte alla mia finestra. Bryan venne a trovarmi nel pomeriggio. Mi aggiornò sulle indagini. Forse lituani, solo uno inglese, storia intricata, ancora buio. Ma non cambiava molto. Ammise che i gruppi estremisti, le gang, avevano un gran risentimento verso l'ondata migratoria degli ultimi tempi: spagnoli, italiani e altri. Disse che dalla Spagna e dall'Italia erano arrivati tantissimi ragazzi, statisticamente più del solito. Mi spiegò che il suo paese era ambiguo e freddo, ma sapeva abbracciare. Mi disse che si, erano colonialisti, avevano fatto la loro fortuna con le colonie, e che si, avevano succhiato il meglio da ogni posto in cui erano stati, ma no, disse, non siamo razzisti. Questo paese abbraccia tutti, gli stranieri qua sono una risorsa, pagano le tasse, mandano avanti l'economia, diceva, la politica UK vuole che tu lavori, che paghi le tasse e contribuisci così al benessere di questa nazione. Mi spiegò cose noiose ma vere di questo paese, pregi e difetti di un popolo che sto ancora conoscendo. Andò via dicendo: Londra è come la Marmite, o la ami o la odi, se riesci ad amarla ti darà tanto...provaci! Prima che scomparisse chiesi: What's Marmite? Si fece una risata e uscì senza rispondere. Dopo neanche un'ora arrivò un fattorino del supermercato vicino con un barattolo di Marmite. Lo lasciò in reception e Setayesh me lo diede. Aprii il barattolo e credetti di morire: una zaffata di lezzo nauseante invase le mie narici e credetti di vomitare l'anima e il latte materno che succhiai a 5 mesi. Entrò Dulcinea e urlò “Woooowww, Marmite!” chiese se era mia, se poteva mangiarne un po'. Anche tutta per me: fa schifo, fu la mia risposta in italiano, che Dulcinea capiva perfettamente. Mi disse che lei aveva imparato a mangiarla dal suo compagno: quando lo baciava sentiva il sapore di quella crema nella sua bocca, e così aveva imparato a farsela piacere. Andarono via quasi tutti verso le 18:30. Mi salutarono come se fossero colpevoli, dicendomi qualcosa di inutilmente straordinario. Rimasi sola. Guardai su Internet, pensai, piansi, riflettei su tutto. Questo paese mi aveva accolto a braccia spalancate: dopo 15 giorni avevo un lavoro, persone che mi adoravano e servizi funzionanti. Si, avevo incontrato persone stupide e razziste, ma...posso dirlo senza essere tacciata di scarso patriottismo? La maggior parte erano italiani. Certi italiani chiamano le donne col Burka “le ninja”, il mio coinquilino italiano non parla con la mia coinquilina inglese perchè è “negra”. Per non parlare dell'omofobia: anche a Londra ci facciamo riconoscere per quella cultura bigotta verso gli omosessuali, in una Londra che è “la capitale dei froci”, come dice un mio amico gay, gli italiani sono fra i pochi a usare un razzismo omofobo. Dagli inglesi non ho mai subito nessun attacco per il mio essere italiana, MAI. Mi trattano con un rispetto persino imbarazzante, al quale non sono abituata, e divento rossa quando la Boss mi dice che sono lovely e mi chiama darling o my love. Fanno le battute sugli italiani esattamente come noi italiani prendiamo per i fondelli gli inglesi per l'assenza del bidè: sfottò reciproco e innocente. La carta stampata si diverte a scandagliare i nostri mali, si discute di politica e siamo noi italiani ad ammettere i difetti e a giustificare che non siamo tutti bunga-bunga, mafia e Concordia. Ma gli inglesi lo sanno: questa è una città melting pot, un gigantesco frullatore che contiene pezzi di frutta da tutto il mondo, qualcuno ha schiacciato il pulsante troppo a lungo e quella frutta si è mescolata, diventando poltiglia, omogenea, amalgamata, mescolata come una jam multicolore e multisfaccettata. I razzisti a Londra? Si, esistono, ma è dura vita per loro: in questo paese è più facile vedere una donna col chador piuttosto che una ragazza inglese con i leggins pitonati, o un uomo col kandura piuttosto che un londoner con ombrello e bombetta. Esistono gli stronzi inglesi così come gli stronzi italiani, ma l'allarmismo e la tensione sono figli di questo tempo caotico e animalesco. La storia del ragazzo 19enne deve far riflettere però: gli italiani devono rendersi conto che noi siamo schegge volate via dal nostro paese, e speriamo sempre di venir accolti, di avere un lavoro o un'ancora a cui aggrapparci, e ci teniamo a dimostrare che siamo “italiani brava gente”. Siamo italiani, ne andiamo orgogliosi, e ci fa male essere così tanti, e ci fa male sapere che abbiamo invaso una terra e ci sorge il dubbio se davvero non stiamo rubando qualcosa, se diamo fastidio, e ci fa male sapere che quando da noi arriva una zattera a pezzi qualche connazionale ci gode e spera che affondino tutti, mentre qua ci hanno accolto e ci trattano con rispetto. Non sarebbe giusto accusare gli inglesi di razzismo così come non è giusto generalizzare sugli italiani: i microcefali leghisti sono pochi, gli italiani che hanno aperto la porta ai disperati “emigranti” sono tantissimi, e mi sento rappresentata da loro, non dai leghisti. Ci ferisce quella frase che aleggia nell'aria “avete rubato il lavoro agli inglesi”. Ci fa male ed è una ferita profonda, e speriamo che gli inglesi non siano tutti così (e non lo sono) o almeno di non incontrarli mai. Perchè probabilmente quel figlio di 19 anni è stato ucciso per altri motivi, ma il problema è reale: siamo qua, siamo in tanti, forse troppi e ce ne rendiamo conto. E speriamo solo che il nostro essere onesti lavoratori faccia cambiare idea a quegli inglesi che non ci vorrebbero qua. Perché in quel ragazzo c'erano i miei sogni da 19enne, c'erano i sogni di tutti gli italiani che vanno via sperando in un futuro migliore, e qualunque sia il motivo (razzismo? Rapina? Gang giovanili? Altro?) adesso quei sogni si sono persi dentro una stanza del Kent, e gli inglesi per bene, tantissimi, si vergognano di aver bruciato i nostri disegni da incorniciare con una scarica infuocata di calci e pugni.
Uscii nella hall e indossai il giubbotto, sentii l'odore della Marmite nel naso: Dulcinea era nei paraggi. Seguii l'odore per salutarla. La trovai che divorava una fetta di pane tostato, imbrattato di quello schifo. Ci salutammo con un bacio, pequeña mia, disse, e mi strinse. L'odore della Marmite mi aveva invaso...non mi dava più fastidio, in fondo apparteneva a Dulcinea e a quel bacio forte stampato sulla guancia, come un francobollo che sai che non potrai mai staccare dall'anima. Have a nice evening, disse il portiere a piano terra. Goodnight, dissi io. La sigaretta. L'accendino. Il cellulare
-Pronto? -Ciao mà... -Hai sentito di quel ragazzo? -Si, ma non credo lo abbiano ucciso perchè era italiano...non si sa nulla, è confusa la storia... -Stai attenta -A che cosa? -A tutto -Tutto cosa? -Tutto...sei una brava donna, sai come comportarti, sai farti amare, forse nel concepimento ti ho inserito una calamita da qualche parte e sarà per questo che attiri a te tante persone...ma riesci a sentirti sola anche in mezzo agli amici e alla folla. Stai attenta a questo: a non sentirti mai sola -Ok mà -Stai andando nel tubo? -Si chiama tube mà, è la metro -Quella si...Stai attenta a non sentirti sola, se puoi non tornare, ma se torni mi troverai qua -Ci sentiamo presto -Stai bene? -Si, mi vogliono bene qua, molto -Anche qua te ne vogliamo -Lo so
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9 commenti:

  1. bellissimo post anche se sarebbe stato meglio non doverlo scrivere. Qui si discute come cretini sull'immigrazione che è terreno di caccia di voti sulla pelle di donne e uomini disperati in cerca di una possibilità su questo mondo e poi succedono queste cose che sono un pugno allo stomaco; spero che certi meschini e decelebrati sentendosi dall'altra parte possano capire quanto sono merde

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    1. Anche qua sono sempre in ritardo, perdonami! Qua la cosa è stata vissuta in maniera devastante...sotto un'altra ottica. In Italia...beh, è sempre differente :-/

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  2. You can win against ghosts. Che già partecipare è un bell'impegno. Vincere, poi...
    Ciao Sfigghy, sempre bello leggerti.

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  3. Anche qua te ne vogliamo ! SMACK!

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    1. Si...e io anche. Ma anzitutto vi ringrazio per la pazienza nel leggermi. Un abbraccio

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  4. Sai, Sfigghy, sei meravigliosa, veramente... Forse sarà stato per via della calamita di tua madre, ma, in fondo, il tuo amico topo questo lo sapeva già. Lo aveva scoperto passeggiando assieme a te nei vicoli di Roma... Un bacio

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    1. Topino mio <3 oh quelle passeggiate...mi fai venire la malinconia! Appena scendo a Roma ce ne concediamo una chilometrica, lunga una vita! Ti abbraccio splendido topo dal cuore gigantesco!

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  5. Mi tocca Ferlinghetti mentre tu batti la fiacca, Ciccia...

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