giovedì 22 luglio 2021

Di mani, di Casa e malinconia

Andare a Casa, quella dove sono nata, dove ho le mie radici, per me è fonte di sentimenti contrastanti, e l'impatto è sempre malinconico. Stavolta la tristezza è arrivata in anticipo: ieri notte mi ha colto di sorpresa, come uno schiaffo in pieno viso, di quelli che ti rimane il segno finché qualcuno non si fermerà a metterci sopra una carezza. Entrare in Casa per me significa batticuore, groppo in gola, brividi e infine gli occhi chiari di mia mamma. Ed io sono quella che nasconde la polvere sotto il tappeto, perciò dopo una notte insonne ho infilato una maglietta cazzara e gli occhiali da sole, perché gli occhi rossi non stavano bene con la scritta. Ed è mia madre che mi accoglie col suo sorriso disarmante, nonostante il dolore abbia consumato le sue ossa e piegata in due. E in quell'abbraccio, stretto e abbandonato, c'è quel "bentornata, finalmente!" che mi graffia la pelle e la gola, fino a sanguinare. Ed io avrei voluto piangere e vomitare tutto il veleno di cose non dette e sbagliate, ma sono il clown, piccolo saltimbanco che non conosce sofferenza, e sorrido, e faccio il mio show così come mi hanno insegnato. E poi ritrovarmi da sola con lei, in cucina, e quelle parole appena sussurrate e che non esigevano una risposta "perché stai male?"...che oggi andiamo all'orto, ci sono le cose da raccogliere, perché per avere qualcosa devi faticare, devi curare terra e persone, devi seminare e avere pazienza che arrivino i frutti, e non vedi che bisogna aspettare che arrivi il sole o l'inverno affinché le cose siano mature? Perché c'è una stagione per ogni cosa, e se questo è il tempo di rovi e siccità, domani arriverà qualcosa che ti appaga, anche se hai le gambe corte e le ginocchia sbucciate, anche se sei nata sbagliata e ribelle, troverai il tuo posto per crescere e fiorire, anche se sei senza radici come le piante che ho messo in cortile, che ora lo sai che non c'è erba ed è tutto fieno secco, qua non c'è il mare e lo puoi solo intuire guardando la punta di Tavolara, oltre questa coltre di lecci e fino spinato. E da quanto non mangi i fiori di zucca? Te li ho preparati, e come la vuoi la carne? Dimmelo come la vuoi. E domani cosa ti porti al mare? Perché sei così magra? Quella tua foto l'ho appesa al rovescio, che sbadata, non ci vedo più niente, mi sono confusa.Il tuo libro è sempre là, fra i banditi sardi e Oscar Wilde, non lo tocca nessuno, vedi? E io avrei voluto solo crollare, poggiare la testa sulle sue ginocchia malconcie, piangere tutte le lacrime che mi sono tenuta dentro e farmi accarezzare dalle sue mani ruvide fino a scorticare e cancellare le ferite di una vita vissuta al limite. Ma sono il pagliaccio, quella che ti fa ridere, mamma, e sono qua per regalarti la cosa migliore che ho: le mie mani da stringere, quelle che tu mi hai insegnato ad usare, quelle che tu usi per il tuo uncinetto,nel maldestro tentativo di coprire con un ricamo tutta la sporcizia che ci portiamo dentro come fosse un tesoro da custodire. E tu mamma, non cambiare mai, leggimi ancora negli occhi se puoi, e dammi quelle mani che è l'unica cosa per la quale vale la pena vivere. 

1 commento: