venerdì 10 settembre 2021

Di ferite insanabili e speranze da vivere

Stamane ho avuto l'esperienza della nebbia in Baviera, perciò ho fatto la mia corsa mattutina senza il mio punto di riferimento, ossia il campanile della chiesa del paese. Ho dovuto aspettare le 8:15 per vedere qualche raggio di luce fare capolino fra quella bambagia sparsa nel cielo, ma infine il sole ha preso il sopravvento.Oggi il programma prevedeva la presenza di Valentin e Irene, la coppia più bella del mondo, perché sono meravigliosi anche quando litigano. Avevo scordato i sedili di pelo di Valentin, forse li avevo volutamente rimossi, ma lui è un ottimo autista, ha ancora il Tom Tom con le mappe del 1998 e quando il navigatore sbaglia attinge dalle sue mappe mentali che non sbagliano mai. Il tragitto è lungo, ogni tanto ci si lamenta per i Baustelle, e a me viene sempre in mente la canzone La guerra è finita prima di capire che si tratta di cantieri e non di un gruppo musicale. Valentin parla poco durante il viaggio ma dice delle cose interessanti. Poco prima dell'ex confine con la DDR fa notare che sulla sinistra si vede in lontananza una torretta di controllo. Sa perfettamente dov'è il punto, ancora lo ricorda, come una ferita che non si rimargina. Racconta che vedevano le case vicino alla linea di confine: erano grigie perché non permettevano di pitturarle, nessuno voleva avere la casa lì vicino perché era troppo pericoloso. Lì intorno ci sono dei paesini isolati, a grande maggioranza nazi: forse l'isolamento in cui vivono non li ha fatti evolvere e l'ignoranza, si sa, genera sempre mostri. Irene ci sta male, non capisce perché ci sia della gente che ancora ha delle idee di nazismo, non se ne capacita. Giungiamo a destinazione: Buchenwald. Non ero mai stata in un campo di concentramento e suggerisco a tutti, tutti, di andarci almeno una volta nella vita: lo dobbiamo a chi ha perso la vita là dentro, affinché niente vada dimenticato. Il silenzio è inquietante, sul cancello ti avvertono che "a ciascuno il suo", forse si vedeva un pezzo di cielo e forse non sembrava così terribile per chi arrivava. Dentro c'è la desolazione, rettangoli che un tempo erano campi da lavoro, pietro poggiate come ricordi, in lontananza il forno crematorio e una casa. E il cielo sembra ribellarsi a questa desolazione, e sfoggia i suoi colori migliori mentre tutto intorno è dolore, rabbia e nausea. Perché questa tragedia è una vergogna umana e io sento il dolore fisico al centro del petto, una voragine che si allarga. Usciamo silenziosi, andiamo ad Erfurt, perché dopo questo ho bisogno di sentirmi fortunata e ringraziare la mia buona stella, perché sono nata nella parte fortunata del mondo, col colore della pelle "giusto", ho ancora la libertà di amare e tante strade da sbagliare. Valentin fa da guida di Erfurt: è difficile trovare un ristorante non italiano, ma a parte ciò è una bella città, giro per le sue strade e si, non sono ancora stanca delle casette colorate dai tetti aguzzi! Si rientra a casa ma... Mica l'avevo notato il sandalo con calzino?? Mannaggia a te Valentin! E mi godo il tramonto dal finestrino dell'auto in corsa, che non necessariamente devi essere in riva al mare per vedere il sole che cade dietro un promontorio qualsiasi.
Da questa giornata mi porto dietro la speranza, quella che ti fa lottare affinché tutti abbiano diritto di crescere e fiorire, quella speranza che mi sognare cose Belle e mani da stringere. 

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